Cassazione Civile, sentenza
n. 13533 del 30 ottobre 2001
INADEMPIMENTO ED ONERE DELLA PROVA
(Sezioni Unite Civili - Presidente A. Vela -
Relatore R. Preden)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 16.5.1991, L. G. conveniva davanti al
Tribunale di Roma il Centro Culturale (omissis) in persona del legale
rappresentante D. R., e quest'ultimo in proprio, per sentirli condannare
all'adempimento dell'obbligazione, assunta con scrittura del 26.1.1989, avente
ad oggetto l'insonorizzazione della parete divisoria tra l'albergo gestito
dall'attore e la sede dell'associazione entro il 15.8.1989, con previsione di
una penale di L. 100.000 per ogni giorno di ritardo.
I convenuti resistevano, deducendo che l'associazione aveva
cessato l'attività.
L'attore, modificando la domanda, chiedeva la condanna della
convenuta al pagamento della penale.
Il tribunale, con sentenza dell'1.10.1993, condannava il Centro
Culturale ed il Rolla al pagamento della somma di L. 14.800.000 ed al rimborso
delle spese.
Avverso la sentenza proponevano appello i soccombenti, chiedendone
la riforma.
Resisteva il G.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 3.4.1996, accoglieva
l'appello; rigettava la domanda; condannava il G. al pagamento delle spese del
doppio grado.
Considerava:
- che correttamente il tribunale aveva qualificato come
"penale" la clausola, inserita nella scrittura del 26.1.1989, recante
la predeterminazione del danno conseguente all'inadempimento dell'obbligazione
di insonorizzare i locali nella misura di f. 100.000
giornaliere;
- che, peraltro, il tribunale aveva errato nel fare applicazione
dei principi che regolano l'onere della prova, atteso che la clausola penale ha
soltanto la funzione di predeterminare l'entità del danno, in caso di
inadempimento, ma non sottrae il soggetto che la invoca all'onere di fornire la
prova dell'inadempimento;
- che erroneamente, quindi, il tribunale aveva fondato
l'accoglimento della domanda di risarcimento sulla mancata prova
dell'adempimento entro il termine pattuito da parte dei convenuti, poiché, a
fronte della contestazione della controparte, gravava sull'attore l'onere di
dimostrare sia il mancato adempimento entro il termine pattuito, sia il periodo
di protrazione del medesimo;
- che, in mancanza dell'assolvimento del detto onere probatorio,
la domanda doveva essere rigettata.
Avverso la sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a tre motivi.
Non hanno svolto difese gli intimati.
Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione civile, che, con
ordinanza del 29.4.1998, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per
l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite. Ha considerato la
terza sezione:
- che oggetto del giudizio è la richiesta di pagamento di una
somma a titolo di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento contrattuale;
- che il ricorso ripropone la questione se sia il creditore
agente, che lamenta la violazione del suo diritto, ad essere gravato dell'onere
di dimostrare il mancato o inesatto adempimento dell'obbligazione, quale
fondamento dell'azione di esatto adempimento, di risoluzione o di risarcimento
del danno, ovvero se incomba al debitore resistente, che eccepisca l'estinzione
dell'obbligazione per adempimento, la prova dell'avvenuto compimento
dell'attività solutoria;
- che sulla questione esiste contrasto nella giurisprudenza della
Corte di cassazione, tra due indirizzi: uno, maggioritario, che diversifica il
regime probatorio secondo che il creditore agisca per l'adempimento, nel qual
caso si ritiene sufficiente che l'attore fornisca la prova del titolo che
costituisce la fonte del diritto vantato, ovvero per la risoluzione, nel qual
caso si ritiene che il creditore debba provare, oltre al titolo, anche
l'inadempimento, integrante anch'esso fatto costitutivo della pretesa; ed un
altro orientamento, minoritario, che tende ad unificare il regime probatorio
gravante sul creditore, senza distinguere tra le ipotesi in cui agisca per
l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, ritenendo in
ogni caso sufficiente la prova del titolo che costituisce la fonte
dell'obbligazione che si assume inadempiuta, spettando al debitore provare il
fatto estintivo dell'avvenuto adempimento.
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite per la
composizione del contrasto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il denunciato contrasto riguarda la posizione del creditore e
del debitore, in tema di onere della prova, a norma dell'art. 2697 c.c.,
relativamente ai rimedi offerti al creditore dall'art. 1453 c.c., nel caso di
inadempimento del debitore nei contratti a prestazioni corrispettive.
E' opportuno richiamare il dato normativo di riferimento.
Recita l'art. 1218 c.c.:
"Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta
è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il
ritardo è stato determinato da impossibilità della. prestazione derivante da
causa a lui non imputabile."
Dispone l'art. 1453 c.c.: "Nei contratti con prestazioni
corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni,
l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto,
salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno." -
"La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio
è stato promosso per ottenere l'adempimento, ma non può più chiedersi
l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione." "Dalla data
della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria
obbligazione."
A sua volta, la disciplina generale dell'onere della prova è
dettata dall'art. 2697 c.c., secondo il quale:
"Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i
fatti che ne costituiscono il fondamento."
"Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce
che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui
l'eccezione si fonda."
Il contrasto si pone nei seguenti termini.
1.1. Un primo orientamento, maggioritario, sostiene che il regime
probatorio è diverso secondo che il creditore richieda l'adempimento ovvero la
risoluzione.
Si afferma che, in materia di obbligazioni contrattuali, l'onere
della prova dell'inadempimento incombe al creditore, che è tenuto a
dimostrarlo, oltre al contenuto della prestazione stessa, mentre il debitore,
solo dopo tale prova, è tenuto a giustificare l'inadempimento che il creditore
gli attribuisce. Infatti, ai fini della ripartizione di detto onere, si deve
avere riguardo all'oggetto specifico della domanda, talché, a differenza del
caso in cui si chieda l'esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative
obbligazioni, ove è sufficiente che l'attore provi il titolo che costituisce la
fonte del diritto vantato, e cioè l'esistenza del contratto, e, quindi,
dell'obbligo che si assume inadempiuto, nell'ipotesi in cui si domandi invece
la risoluzione del contratto per l'inadempimento dell'obbligazione, l'attore è
tenuto a provare anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia
l'inadempimento e le circostanze inerenti, in funzione delle quali esso assume
giuridica rilevanza, spettando al convenuto l'onere probatorio di essere immune
da colpa, solo quando l'attore abbia provato il fatto costitutivo
dell'inadempimento (sent. n.2024/68; n. 1234/70; n. 2151/75; n. 5166/81; n.
3838/82; n. 8336/90; n. 11115/90; n. 13757/92; n. 1119/93; n. 10014/94; n.
4285/94; n. 7863/95; n. 8435/96; n. 124/97).
1.1.1. La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.
Viene valorizzata la distinzione tra i rimedi congiuntamente
previsti dall'art. 1453 c.c., rilevando che si tratta di azioni con le quali
vengono proposte domande con diverso oggetto (adempimento, risoluzione, risarcimento
del danno).
Si osserva che nella azione di adempimento il fatto costituivo è
il titolo, costituente la fonte negoziale o legale del diritto di credito,
sicché la prova che il creditore deve fornire, ai sensi dell'art. 2697, comma
1, deve avere ad oggetto soltanto tale elemento. Al contrario, nella azione di
risoluzione, la domanda si fonda su due elementi: il titolo, fonte
convenzionale o legale dell'obbligazione, e l'inadempimento dell'obbligo,
sicché la prova richiesta al creditore deve riguardarli entrambi, trattandosi
di fatti costituitivi del diritto fatto valere, ai sensi dell'art. 2697, comma
1.
Si ritiene irrilevante che l'inadempimento, elevato ad oggetto
dell'onere probatorio, sia un fatto negativo, opponendosi che, per costante
giurisprudenza, anche i fatti negativi possono essere provati fornendo prova
dei fatti positivi contrari (in tal senso: sent. n. 3644/82; n. 13872/91; n.
12746/92; n. 5744/93).
1.1.2. L'orientamento maggioritario trova riscontro anche in una
parte della dottrina, nella quale si rinvengono analoghe argomentazioni.
1.2. Il contrapposto indirizzo, minoritario, tende invece a
ricondurre ad unità il regime probatorio da applicare in riferimento a tutte le
azioni previste dall'art. 1453 c.c., e cioè all'azione di adempimento, di
risoluzione e di risarcimento del danno da inadempimento richiesto in via
autonoma (facoltà pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di questa S.C.:
sent. n. 3911/68; n. 3678/71; n. 1530/88).
Si è affermato che l'azione di risoluzione per inadempimento
prevista dall'art. 1453 c.c. e quelle di adempimento e di risarcimento dei
anch'esse da detta norma hanno in comune il il vincolo contrattuale di cui si
deduce la ad opera dell'altro contraente, sicché alla le propone non può
addossarsi altro onere, dell'art. 2697 c.c., che di provare l'esistenza titolo
e, quindi, l'insorgenza di obbligazioni connesse, incombendo alla controparte,
invece, della prova di avere adempiuto (sent. n. 10446/94).
Altre decisioni hanno ribadito che il meccanismo di ripartizione
dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c:c. in materia di
responsabilità contrattuale è identico, sia che il creditore agisca per
l'adempimento dell'obbligazione, sia che domandi il risarcimento per
l'inadempimento contrattuale; in entrambi i casi il creditore dovrà provare i
fatti costitutivi della pretesa, cioè l'esistenza della fonte negoziale o
legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche
l'inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo
dell'adempimento (sent. n. 973/96; n. 3232/98; n. 11629/99).
1.2.1. La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.
Dall'art. 2697 c.c., che richiede all'attore la prova del diritto
fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o dell'estinzione del
diritto stesso, si desume il principio della presunzione di persistenza il
principio - pacificamente applicabile all'ipotesi della domanda di adempimento,
in relazione alla quale il creditore deve provare l'esistenza della fonte
negoziale o legale del credito e, se previsto, del termine di scadenza, in
quanto si tratta di fatti costitutivi del diritto di credito, ma non
l'inadempimento, giacché è il debitore a dover provare l'adempimento, fatto
estintivo dell'obbligazione -, deve trovare applicazione anche alle ipotesi in
, cui il creditore agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno da
inadempimento richiesto in via 973/96; n. 3232/98 ; n. 11629/99).
Siffatta estensione trova giustificazione nella considerazione
che, dovendo le norme essere interpretate secondo un criterio di
ragionevolezza, appare irrazionale che di fronte ad una identica situazione
probatoria della ragione del credito, e cioè dell'esistenza dell'obbligazione
contrattuale e del diritto ad ottenerne l'adempimento, vi sia una diversa
disciplina dell'onere probatorio, solo perché il creditore sceglie di chiedere
(la risoluzione o) il risarcimento in denaro del danno determinato
dall'inadempimento in luogo dell'adempimento, se ancora possibile, o del
risarcimento in forma specifica (sent. n. 973/96).
L'esenzione del creditore dall'onere di provare il fatto negativo
dell'inadempimento in tutte le ipotesi di cui all'art. 1453 c.c. ( e non
soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento sul
debitore convenuto dell'onere di fornire la prova del fatto positivo
dell'avvenuto adempimento, è conforme al principio di riferibilità o di
vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che muove dalla
considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili,
se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l'onere della prova
viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno
o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle
rispettive sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall'art.
2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che
la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore,
spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva
dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione
(sent. n. 973/96; n. 3232/98; n. 11629/99).
1.2.2. L'orientamento minoritario riceve l'approvazione di larga
parte della dottrina, che svolge analoghe argomentazioni. . 2. Il contrasto va
composto aderendo all'indirizzo minoritario.
2.1. Per quanto concerne la disciplina dell'onere della prova, va
ricordato che l'art. 1312 del codice civile del 1865 disponeva che: "Chi domanda
l'esecuzione di un'obbligazione deve provarla e chi pretende essere liberato
deve dal canto suo provare il pagamento o il fatto che ha prodotto l'estinzione
dell'obbligazione."
Veniva quindi regolata specificamente la sola ipotesi dell'onere
probatorio in relazione alla domanda di adempimento.
L'art. 2697 del codice civile vigente ha invece dettato una
disciplina generale in tema di riparto dell'onere della prova, senza
riferimento a specifici tipi di domande.
La formulazione generale del principio è quindi di ostacolo alla
formulazione di temi fissi di prova. Ed I occorre considerare che, al fine in
esame, assume certamente rilevanza il ruolo assunto dalla parte nel
processo.
Tuttavia, con riferimento ai tre rimedi congiuntamente previsti
dall'art. 1453 c.c. appare opportuno individuare un criterio di massima
caratterizzato, nel maggior grado possibile, da omogeneità. L'eccesso di
distinzioni di tipo concettuale e formale è sicuramente fonte di difficoltà per
gli operatori pratici del diritto, le cui esigenze di certezza meritano di
essere tenute nella dovuta considerazione.
2.2. Ritengono queste Sezioni unite di prestare adesione
all'indirizzo minoritario, del quale condividono le principali argomentazioni.
2.2.1. Il principio della presunzione di persistenza del diritto,
desumibile dall'art. 2697, in virtù del quale, una volta provata dal creditore
l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo
termine grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo,
costituito dall'adempimento, deve ritenersi operante non solo nel caso in cui
il creditore agisca per l'adempimento; nel quale caso deve soltanto provare il
titolo contrattuale o legale del suo diritto, ma anche nel caso in cui, sul
comune presupposto dell'inadempimento della controparte, agisca per la
risoluzione o per il risarcimento del danno.
2.2.2. La ravvisata omogeneità del regime dell'onere della prova
per le tre azioni previste dall'art. 1453 c.c. consegue infatti ad una
interpretazione delle norme che vengono in gioco nella specie (Part. 1453 in
relazione agli artt. 1218 e 2697 c.c.) secondo un criterio di ragionevolezza.
La domanda di adempimento, la domanda di risoluzione per
inadempimento e la domanda autonoma di risarcimento del danno da inadempimento
si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito dall'inadempimento.
Servono tutte a far statuire che il debitore non ha adempiuto: le ulteriori
pronunce sono consequenziali a questa, che rimane eguale a se stessa quali che
siano i corollari che ne trae l'attore.
Le azioni di adempimento e di risoluzione sono poste dall'art.
1453 sullo stesso piano, tanto è vero che il creditore ha facoltà di scelta tra
l'una o l'altra azione. Non è ragionevole attribuire diversa rilevanza al fatto
dell'inadempimento a seconda del tipo di azione che viene in concreto
esercitata. Se la parte che agisce per l'adempimento può limitarsi (come è
incontroverso) ad allegare (senza onere dì provarlo) che adempimento non vi è
stato, eguale onere limitato alla allegazione va riconosciuto sussistente nel
caso in cui invece dell'adempimento la parte richieda, postulando pur sempre
che adempimento non vi è stato, la risoluzione o il risarcimento del danno.
D'altra parte, va anche rilevato che l'art. 1453, comma 2, che
consente di sostituire in giudizio alla domanda di adempimento la domanda di
risoluzione (art. 1453, comma 2) ha riconnesso l'uno e l'altro diritto ad
un'unica fattispecie, e non ha condizionato il mutamento della domanda
all'accollo di un nuovo onere probatorio.
2.2.3. L'identità del regime probatorio, per i tre rimedi previsti
dall'art. 1453, merita di essere affermata anche per palesi esigenze di ordine
pratico.
La difficoltà per il creditore di fornire la prova di non aver
ricevuto la prestazione, e cioè di fornire la prova di un fatto negativo (salvo
che si tratti di inadempimento di obbligazioni negative), è superata dai
sostenitori dell'orientamento maggioritario con l'affermazione che nel vigente
ordinamento non vige la regola secondo la quale "negativa non sunt
probanda", ma opera il principio secondo cui la prova dei fatti negativi
può essere data mediante la prova dei fatti positivi contrari.
Si tratta tuttavia di una tecnica probatoria non agevolmente
praticabile: il creditore che deduce di non essere stato pagato avrà
serie difficoltà ad individuare, come oggetto di prova, fatti positivi contrari
idonei a dimostrare tale fatto negativo; al contrario, la prova
dell'adempimento, ove sia avvenuto, sarà estremamente agevole per il debitore,
che di regola sarà in possesso di una quietanza (al rilascio della quale ha
diritto: art. 1199 c.c.) o di altro documento relativo al mezzo di pagamento
utilizzato.
Si rivela quindi conforme all'esigenza di non rendere
eccessivamente difficile l'esercizio del diritto del creditore a reagire
all'inadempimento, senza peraltro penalizzare il diritto di difesa del debitore
adempiente, fare applicazione del principio di riferibilità o di.,vicinanza
della prova, ponendo in ogni caso l'onere della prova a carico del soggetto
nella cui sfera si è prodotto l'inadempimento, e che è quindi in possesso degli
elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia questa diretta
all'adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la
prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall'adempimento.
2.2.4. In conclusione, deve affermarsi che il creditore, sia che
agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno,
deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se
previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare
l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire
la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento.
3. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve
ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto per l'adempimento,
la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, si avvalga
dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. per paralizzare la
pretesa dell'attore.
In tale eventualità i ruoli saranno invertiti.
Chi formula l'eccezione può limitarsi ad allegare l'altrui
inadempimento: sarà la controparte a dover neutralizzare l'eccezione,
dimostrando il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza
dell'obbligazione a suo carico (in tal senso: sent. n. 3099/87; n. 13445/92; n.
3232/98).
4. Anche secondo i fautori della tesi che esenta il creditore
dall'onere di provare l'inadempimento, qualora richieda la risoluzione o il
risarcimento del danno in via autonoma, e pongono a carico del debitore, in
entrambi i casi, l'onere di provare l'adempimento come fatto estintivo del
diritto azionato (alla stessa stregua di quanto avviene nel caso di
proposizione della domanda di adempimento), la regola non vale qualora sia
dedotto, a fondamento della domanda di risoluzione o di risarcimento del danno,
un inesatto adempimento: in~tale ipotesi affermano che il creditore non può
limitarsi ad allegare l'inesatto adempimento, ma ne deve fornire la prova (in
tal senso, tra le decisioni che accolgono l'orientamento minoritario, v. sent.
n. 11629/99).
In dottrina si rileva che, in tale eventualità, il creditore
ammette l'avvenuto adempimento, ma lamenta vizi, difetti o difformità della
prestazione eseguita rispetto a quella dovuta, dei quali deve dare la prova.
4.1. La tesi non merita adesione.
Le richiamate esigenze di omogeneità del regime probatorio
inducono ad estendere anche all'ipotesi dell'inesatto adempimento il principio
della sufficienza dell'allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per
violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata
osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o
qualitative dei beni), gravando anche in tale eventualità sul debitore l'onere
di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento.
Appare artificiosa la ricostruzione della vicenda secondo la quale
il creditore che lamenta un inadempimento inesatto manifesterebbe, per
implicito, la volontà di ammettere l'avvenuto adempimento. In realtà, il
creditore esprime una ben precisa ed unica doglianza, incentrata sulla non
conformità del comportamento del debitore al programma negoziale, ed in ragione
di questa richiede tutela, domandando l'adempimento, la risoluzione o il
risarcimento.
D'altra parte, la diversa consistenza dell'inadempimento totale e
dell'inadempimento inesatto non può giustificare il diverso regime probatorio.
In entrambi i casi il creditore deduce che l'altro contraente non è stato fedele
al contratto. Non è ragionevole ritenere sufficiente l'allegazione per
l'inadempimento totale (massima espressione di infedeltà al contratto) e
pretendere dal creditore la prova del fatto negativo dell'inesattezza, se è
dedotto soltanto un inadempimento inesatto o parziale (più ridotta
manifestazione di infedeltà al contratto). In entrambi i casi la pretesa del
creditore si fonda sulla allegazione di un inadempimento alla quale il debitore
dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall'esatto
adempimento.
5. Una eccezione all'affermato principio va invece ravvisata nel
caso di inadempimento di obbligazioni negative.
Ove sia dedotta la violazione di una obbligazione di non fare, la
prova dell'inadempimento è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui
agisca per l'adempimento.
5.1. Il diverso regime è giustificato dalle seguenti
considerazioni.
Ai sensi dell'art. 1222 c.c., ogni fatto compiuto in violazione di
obbligazioni di non fare costituisce di per sé inadempimento. L'inadempimento
di siffatte obbligazioni integra un fatto positivo e non già un fatto negativo
come avviene per le obbligazioni di dare o di fare.
Comune presupposto dei rimedi previsti dall'art. 1453 c.c. è
quindi un inadempimento costituito da un fatto positivo (l'esecuzione di una
costruzione, lo svolgimento di una attività).
Non opera quindi, qualora il creditore agisca per l'adempimento,
richiedendo l'eliminazione delle modificazioni della realtà materiale poste in
essere in violazione dell'obbligo di non fare, ovvero la risoluzione o il
risarcimento, nel caso di violazioni con effetti irreversibili, il principio
della persistenza del diritto insoddisfatto, perché nel caso di obbligazioni
negative il diritto nasce soddisfatto e ciò che viene in considerazione è la
sua successiva violazione, né sussistono le esigenze pratiche determinate dalla
difficoltà di fornire la prova di fatti negativi sulle quali si fonda il
principio di riferibilità della prova, dal momento che l'inadempimento
dell'obbligazione negativa ha natura di fatto positivo.
6. Tanto premesso, può ora procedersi all'esame del ricorso.
6.1. Con i tre motivi, tra loro intimamente connessi, denunciando
violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1382, 2697 c.c. in
relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., e difetto di motivazione, il ricorrente
addebita alla corte d'appello di aver erroneamente posto a carico del
creditore, che agiva per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento
contrattuale (danno di consistenza preventivamente determinata mediante
clausola penale), l'onere di fornire la prova dell'inadempimento; sostiene,
invocando l'orientamento minoritario, che era onere del debitore dimostrare di
avere adempiuto.
6.2. Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata è in contraddizione con il principio accolto
da queste Sezioni unite in sede di composizione del contrasto e va pertanto
cassata.
La causa va rinviata ad altra sezione della Corte d'appello di
Roma, che si atterrà al suenunciato principio.
7. Sussistono giusti motivi, da ravvisare nella sussistenza del
contrasto di giurisprudenza ora composto, per compensare tra le parti le spese
del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia ad altra sezione
della Corte d'appello di Roma; compensa le spese del giudizio di cassazione