Cassazione Civile, sentenza n. 14019 del 12
novembre 2001
RESPONSABILITA' DISCIPLINARE DELL'AVVOCATO PER PAGAMENTI NON
DOVUTI
(Sezioni Unite Civili - Presidente M. Cantillo -
Relatore F. Sabatini)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di esposto del sig. S. P., venne promosso procedimento
disciplinare nei confronti dell'avv. G. S., al quale fu addebitato di essere
venuto meno agli obblighi di lealtà e correttezza, propri del professionista
forense: a) per avere depositato presso il Tribunale di Roma, senza alcun
preavviso, ricorso per separazione giudiziale nell'interesse della signora L.
F., moglie del P., dopo aver ricevuto nel suo studio entrambi i coniugi per
valutare la possibilità di addivenire alla separazione consensuale ed aver
ricevuto da quest'ultimo l'acconto di lire 1.000.000, ingenerando il dubbio di
aver sfruttato, nella predisposizione del ricorso, notizie di cui era venuto a
conoscenza durante il suddetto incontro; b) per non aver restituito al P. la
somma di cui sopra, sebbene egli non fosse suo cliente. L'incolpato, pur
immettendo di aver patrocinato gli interessi della sola F., si difese
affermando di essere intervenuto per un tentativo di conciliazione dei coniugi
o, alternativamente per la separazione consensuale e di aver i ottenuto il
pagamento della predetta somma per la fornita consulenza e per detto tentativo.
In data 27 aprile il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma
affermò la responsabilità dell'incolpato e gli inflisse la sanzione
disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per
la durata di due mesi, ritenendo provato che egli avesse convocato nel suo
studio il P. ed intrapreso un'attività conciliativa senza alcuna autorizzazione
da parte della propria cliente F., e censurabile l'indebita ricezione
dell'acconto da parte del P., controparte della F., tanto più che egli aveva
rifiutato di restituirlo.
Con la decisione, ora gravata, il Consiglio Nazionale Forense, in
parziale accoglimento dell'impugnazione proposta dal S., confermata
l'affermazione di responsabilità, ha ritenuto adeguata al fatto per le relative
modalità ed i precedenti dell'incolpato la sanzione della censura.
Avverso tale decisone lo stesso S. ha proposto ricorso, affidato
ad unico motivo. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Il ricorrente
ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo del ricorso il ricorrente genericamente adduce
"violazione di legge" ed a sostegno di esso afferma: il C.n.f. non ha
tenuto conto di esimenti della responsabilità quali la giovane età, l'inesperienza
e la buona fede di esso ricorrente; il P. non ha subito alcun danno né esso è
stato provato; il S. aveva patrocinato la sola sig.ra F.; il C.o.a. non aveva
escusso il P.; il C.n.f. ha completamente disatteso le deduzioni difensive atte
a dimostrare correttezza e lealtà; la prova dell'addebito non può essere tratta
dalla sola parola interessata del cliente apodittica è l'affermazione della
riscossione di lire unmilione dal P., somma in realtà erogata per una diversa
pratica relativa ad un incidente automobilistico; apparente è la motivazione
quanto alla sanzione, segnatamente per il riferimento ai precedenti
dell'incolpato, giammai in precedenza sottoposto a procedimento disciplinare.
Osserva la Corte che le censure sono in parte inammissibili ed in
parte infondate.
La decisione impugnata ha affermato la responsabilità
dell'incolpato ritenendo indebita la percezione della somma di lire 1.000.000
da parte del P. il quale non solo non era suo cliente, ma era l'avversario
della propria cliente nella causa di separazione personale in relazione alla
quale la somma fu erogata, ed ha tratto la prova relativa dalle deduzioni
difensive in data 20.6.1998 dello stesso incolpato, il quale aveva ammesso di
avere patrocinato la sola F. e di avere incassato la somma per le consulenze
fornite ed il tentativo di conciliazione esperito.
Tanto premesso, deve ribadirsi che, in sede di ricorso per
cassazione avverso le decisioni del C.n.f. a norma dell'art. 56 r.d.l. 27
novembre 1933 n. 1578, è insuscettibile di ulteriore valutazione l'accertamento
compiuto dal giudice disciplinare in ordine alla materialità dei fatti
contestati all'incolpato e alla loro idoneità a ledere gli interessi protetti
dall'art. 38 legge professionale essendo precluso alla Corte di cassazione il
riesame dei fatti e delle risultanze istruttorie, la cui valutazione spetta
esclusivamente all'organo giudicante disciplinare il quale ha solo l'obbligo di
fornire una motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici (Cass.
sez. un. 16.11.1996 n. 10046): motivazione che, in realtà per essere
suscettibile di sindacato in questa sede, deve mancare affatto o non
presentarsi logicamente ricostruibile o esser priva di congruenza logica
rispetto ai fatti accertati dal giudice, come questa stessa Corte ha avuto modo
di precisare (tra le altre, sentt. nn. 764/98, 175/99, 289/99).
Nella specie tali vizi non sussistono, avendo il giudice
disciplinare dato adeguata e logica motivazione nei termini di cui sopra, del
proprio convincimento, del quale il ricorrente nella sostanza pretende un
inammissibile riesame, per di più sulla base di circostanze di fatto (quale il
preteso sinistro stradale) che non solo non afferma - come avrebbe dovuto sulla
base del principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione - di aver
prospettato nella sede di merito, ma che è perfino contrastato dalle citate
deduzioni difensive, ritenute decisive dal giudice disciplinare; in osservanza
dello stesso principio il ricorrente avrebbe anche dovuto dedurre di aver già
prospettato al C.n.f. l'omessa audizione del P., della quale ora si duole, da
parte del C.o.a.
La tesi difensiva - secondo la quale giovane età ed inesperienza
costituirebbero delle esimenti - è inammissibile perché non risulta, né si
afferma, essere stata dedotta dinanzi al C.n.f., mentre palesemente infondata è
la tesi gialla insussistenza del danno, avendo il P. erogato una somma che,
come si è accertato, non era da lui dovuta.
Infondate sono infine le censure che investono la sanzione
adottata avendo il C.n.f. inflitto la più mite censura; in luogo della
sospensione temporanea disposta invece dal C.o.a. - proprio sulla base
dell'implicito riconoscimento dei favorevoli precedenti.
Non deve provvedersi sulle spese, non avendo gli intimati
vittoriosi svolto attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese