Documento e documentazione

Pierluigi Milite

 

In senso lato, il documento si può identificare in “qualcosa che fa conoscere qualcos’altro” (1). Da tale comune nozione va distinta quella giuridica, che qualifica il documento come lo “strumento che consente la formulazione di un giudizio circa l’esistenza di un fatto o atto, nonché la possibilità di sussumere il fatto o atto sotto una fattispecie normativa” (2). La capacità di rappresentare non è, peraltro, da confondere con la somiglianza: solo la prima è attribuita ad una cosa dalla volontà dell’uomo, poiché non esistono documenti naturali (3). Si è affermato, che la capacità rappresentativa del documento “non è nei segni, ma in chi intende il significato dei segni” (4). Sebbene l’ermeneutica sia una momento fondamentale nella definizione dei lineamenti del fatto rappresentato, è da rilevare che solo la lettura del documento e l’interpretazione del suo contenuto dipendono dalle qualità intellettuali del soggetto, che intende avvalersene, e non anche l’esistenza del documento medesimo, che viene alla vita e permane nel mondo giuridico con certe caratteristiche, a prescindere dalle capacità di chi se ne serva (5). L’attività di interpretazione del documento deve essere tenuta distinta da quella di valutazione delle prove. Mentre quest’ultima risulta incensurabile, se è stato correttamente motivato il giudizio circa la rilevanza dei singoli mezzi di prova (6), la prima è sempre sottoponibile a controllo del giudice di legittimità sotto il profilo del rispetto delle norme sull’ermeneutica e non viene meno neanche quando la legge prevede una efficacia probatoria predeterminata (7).

La rilevanza giuridica di un documento può sussistere nel momento stesso della sua formazione oppure può sopravvenire, poiché essa non attiene alla struttura del documento medesimo, bensì alla sua funzione, e può, quindi, essere anche attribuita ex post (8). Occorre, comunque, distinguere tra documenti creati a seguito di specifica attività di documentazione e quelli venuti ad esistenza per fini diversi, che acquistano la funzione di documento solo in singole ipotesi. Nel primo caso, la res in cui l’atto o il fatto sono stati incorporati è, in ogni modo, qualificabile come documento, a prescindere da un eventuale uso processuale, mentre nella seconda ipotesi la cosa diventa documento in senso giuridico soltanto nel momento in cui viene posta in relazione al thema probandum (9).

I documenti vengono tradizionalmente divisi in due categorie: indiretti e diretti. La rappresentazione degli atti o fatti documentati, nei primi passa attraverso il filtro della mente umana (es. scrittura privata), mentre nei secondi si ottiene immediatamente (es. fotografia) (10). 

In relazione al documento sono da distinguere: materia, mezzo e contenuto.

La materia costituisce la res sulla quale un soggetto giuridico imprime segni o tracce, che in un momento successivo saranno in grado di rappresentare un atto o fatto. Il mezzo può essere considerato sotto un duplice profilo: come modo di comunicare, ed allora può essere verbale (testo scritto) o figurativo (immagine), ovvero come strumento con cui imprimere i segni rappresentativi, ed allora può essere dei più vari (penna, matita etc.). Relativamente al contenuto, è da rilevare che tra i fatti documentabili assumono grande rilevanza le dichiarazioni del documentatore (11). Ciò ha indotto la dottrina a distinguere i documenti in due grandi categorie: dichiarativi (rappresentativi di quel particolare fatto che è una dichiarazione, proveniente da chi ha formato il documento stesso emettendola) e narrativi (o non dichiarativi, e cioè tutti i documenti che non contengono dichiarazioni, ma soltanto l’esposizione di un accadimento). I documenti dichiarativi si distinguono a loro volta in testimoniali e dispositivi (questi ultimi vanno dai negozi giuridici ai provvedimenti giudiziari).

In relazione ai documenti dichiarativi, è particolarmente evidente la costante tendenza a confondere nella pratica il documento con la documentazione e, quindi, i profili probatori con quelli negoziali. Tanto è grave tale difficoltà che lo stesso legislatore ha confuso l’atto con il documento, quando ha parlato nell’art.2699 c.c. di “atto pubblico”, invece che di “documento pubblico”. Bisogna avere ben chiaro, che “lo scrivere è un atto, mentre lo scritto è una cosa” (12), lo scrivere è la forma di una dichiarazione, mentre lo scritto è il documento della dichiarazione: “L’evitar la confusione tra i due termini è una vera necessità logica, poiché la dichiarazione (negozio) è un atto, il documento è un oggetto … il requisito formale della dichiarazione non è punto il documento, ma la formazione del documento; in altri termini ciò che importa per la forma è lo scrivere (atto), ciò che importa per la prova è lo scritto (oggetto)” (13) . Così, mentre il documento è una cosa corporale in grado di ricevere, conservare e trasmettere la rappresentazione di un fatto giuridico, la documentazione è l’attività del rappresentare, cioè l’operazione necessaria per creare il documento, l’attività attraverso la quale si manifesta un atto di volontà. Essa può essere svolta da notai o da altri pubblici ufficiali autorizzati ad attribuire pubblica fede al documento (che in tal caso è sempre eterografo, cioè formato da un soggetto diverso dall’autore) oppure direttamente dai privati (il documento in tale ipotesi può essere autografo, cioè formato dall’autore, o eterografo).

In buona sostanza, mentre la documentazione attiene al momento della formazione di un atto, o più in generale al momento in cui si verifica l’accadimento di cui si vuole offrire una rappresentazione a futura memoria, il documento è la prova del fatto rappresentato, è cioè il risultato dell’attività di documentazione.

L’importanza attribuita dal legislatore alla documentazione ed al documento è di palmare evidenza nei casi in cui la legge subordina alla formazione di un documento scritto la validità di un atto giuridico (art.1350 c.c.) ovvero la prova dell’esistenza dell’atto medesimo (artt.1888, 1928, 1967, 2556 c.c.) (14). Tali diverse finalità vengono tradizionalmente indicate distinguendo due tipi di forma: forma scritta ad substantiam (15), elemento necessario per la produzione degli effetti giuridici di determinati atti (16), e forma scritta ad probationem, non appartenente alla disciplina sostanziale dell’atto, ma oggetto di norme aventi rilevanza processuale, in quanto dirette a limitare l’ammissibilità della prova testimoniale, senza escludere, peraltro, che la prova possa essere fornita con altri mezzi (17). La predetta distinzione è criticata da illustre dottrina (18), la quale, muovendo dalla distinzione tra faciendum e factum, afferma che, mentre la forma ad substantiam è un requisito del negozio (19) e, quindi, attiene ad un profilo strutturale di determinati atti, la forma ad probationem si riferisce esclusivamente alla funzione probatoria del documento in generale (20). L’accostamento dei due tipi di forma viene contestato, atteso che, nei casi in cui il legislatore richiede la forma scritta ad probationem, non viene disciplinata la documentazione, ma il documento, non la forma in cui è stata manifestata la volontà, che sarà validamente espressa anche ove non rivesta la forma scritta, ma la sola forma del mezzo di prova (21). Ciò porterebbe, quindi, a concludere che non è corretto individuare una categoria di documenti richiesti ad probationem, perché nelle ipotesi in cui è richiesta dalla legge la prova per iscritto, il negozio, nella sua esistenza e nel suo contenuto,  può essere provato non solo avvalendosi di ogni documento proveniente dalle parti (contratto, documento sottoscritto da una sola parte, quietanza a saldo, corrispondenza epistolare,  etc.) (22), ma anche mediante altri mezzi di prova, quali la confessione, il giuramento decisorio (23), una dichiarazione ricognitiva scritta (24), o addirittura attraverso la non contestazione della sua esistenza e del suo contenuto (25). E’ necessaria, tuttavia, una precisazione. L’art.2724 c.c., nel prevedere le eccezioni al divieto di prova testimoniale avverso il contenuto di un contratto scritto, al n.1 dispone che la prova testimoniale è ammessa in ogni caso quando vi è un principio di prova per iscritto: “questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato”. Parte della dottrina sostiene, che per principio di prova per iscritto non si debba ritenere un documento contenente già in sé una parte della prova, che debba solo essere integrata, bensì un qualsiasi documento proveniente dalla controparte, anche ove non rechi la sua sottoscrizione (26), ma la giurisprudenza dominante è orientata in senso contrario, e cioè nel pretendere che il documento sia sottoscritto (27), sebbene anche in tal caso, si potrebbe riproporre l’eventuale ricorso a situazioni equipollenti per accertarne la provenienza. Il principio di prova scritta non si identifica con la forma scritta ad probationem, perché esso pur consistendo in un qualsiasi scritto proveniente dalla parte contro la quale la domanda è diretta, è inidoneo a provare direttamente il fatto, ma sufficiente a renderlo verosimile. Quindi, perché esso ricorra si richiede, oltre alla sua provenienza dalle parti ed il nesso logico tra lo scritto ed il fatto controverso (28), soltanto la verosimiglianza, che non è una prova e neppure, per se stessa, presunzione, ma al più un argomento di prova (29).    

Il ricorso a diversi strumenti probatori consentito quando la forma scritta è richiesta a fini probatori, è, invece, assolutamente possibile nei casi in cui la forma scritta è richiesta ad substantiam (30) e, dunque, solo l’atto scritto e sottoscritto dalle parti, in cui è documentato l’accordo raggiunto, sarà in grado di conferire ad esso validità e dimostrarne in giudizio l’avvenuto perfezionamento. I limiti legali della prova di un contratto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem operano, tuttavia, esclusivamente quando il contratto sia invocato in giudizio quale fonte di diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche se lo stesso rilevi ai fini di un distinto rapporto (31).

Si è ritenuto, che l’unica nota comune ai due tipi di forma sia l’art.2725 c.c., il quale afferma che, sia nel caso in cui il negozio richieda la forma scritta a pena di nullità, sia nel caso in cui esso debba essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nella ipotesi prevista dall’art.2724 n.3 c.c., e, cioè, quando il contraente ha senza sua colpa perduto (distruzione, smarrimento, deterioramento) il documento che gli forniva la prova. Ricorrendo l’ipotesi predetta, i testimoni, dunque, dovrebbero dichiarare non solo che l’atto de quo abbia assunto forma scritta, ma anche quale ne fosse il contenuto.

Il documentare esprime la costante lotta dell’uomo contro l’azione erosiva ed abolitiva del tempo (32), tuttavia, mentre il documento come res è soggetto alle vicende del tempo, la documentazione, una volta compiuta, conserva per sempre il rilievo attribuitole dalla legge (33). Il documento potrà andare distrutto, ma nell’ipotesi di cui all’art.2724, n.3, la prova testimoniale dovrà avere ad oggetto la forma dell’atto ed il suo contenuto (34).

Il documento è sempre un bene funzionale all’esercizio o alla prova delle situazioni giuridiche che in esso risultano rappresentate. Occorre, tuttavia, distinguere un diritto sul documento, come cosa, e un diritto sul contenuto del documento (35). Il carattere accessorio della res ha indotto il legislatore a far riferimento al contenuto per attribuirne la proprietà materiale, cosicché la proprietà del documento si acquista normalmente in quanto si diventa titolari del rapporto, con il quale il suo contenuto risulta funzionalmente e strumentalmente connesso (es. art.658 c.c.). Ove non dovesse verificarsi una convergente titolarità su cosa e contenuto, un’autorevole dottrina (36) ritiene, che il diritto sul contenuto abbia prevalenza rispetto al diritto sulla res, e che il titolare di quest’ultimo sia obbligato a non alterarne il contenuto, a non modificare o distruggere il documento stesso ed  a consentire sempre l’estrazione del contenuto medesimo (37).

 

(Breve estratto dalla Tesi di Specializzazione in Diritto Civile “Valore giuridico ed efficacia probatoria del documento informatico”,  depositata il 16.10.2000)

 

NOTE

(1) F. CARNELLUTTI, Documento (Teoria moderna), in Nov. Dig., Torino, 1960, VI, 85 ss..

(2) S. PATTI, Della prova documentale, in Commentario al Codice Civile, Bologna, 1996, 7; F. CARNELLUTTI, op. cit., 85 ss.; G. VERDE, Profili del processo civile, Napoli, 2000, II, 86 ss.; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2000, II, 197 ss.; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 451 ss.; L. MONTESANO, G. ARIETA, Diritto processuale civile, Torino, 1999, II, 162 ss.; F. P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 1999, II, 94 ss.; V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 675 ss.; G. CHIOVENDA,  Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 842 ss.; S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1992, 357. Nel codice civile si fa menzione del documento solo in relazione ai documenti scritti, sebbene il capo dedicato alla prova documentale riporti norme che si riferiscono anche ad altri tipi di documento (riproduzioni meccaniche).

 

 (3) P. GUIDI, Teoria del documento, Milano, 1950, 62. Si è sostenuto, tuttavia, con forza che la cosa capace di rappresentare un’altra è tale per caratteristiche intrinseche non perché l’uomo l’abbia destinata a tale funzione: N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Riv. Trim. dir e proc. civ., 1969, 484 ss..

(4) N. IRTI N., op. cit., 502.

(5) S. PATTI, op. cit., 1996, 6.

(6) Cass., 12 maggio 1999, n.4687; Cass., 20 novembre 1998, n.11767; Cass., 12 maggio 1998, n.4777, in cui si afferma, che “Al  di  fuori  dei  casi  di  prova  legale,  non  esiste  nel nostro ordinamento  una gerarchia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori,  essendo  la  valutazione  delle prove rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne deriva che il convincimento del giudice di  merito  sulla  verità  di  un  fatto  può  fondarsi  anche su una presunzione  che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se da lui  ritenuta  di  tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che  egli fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.”.

(7) Cass., 26 maggio 1999, n.5103; Cass., 7 giugno 1999, n.5599; Cass., 2 agosto 1996, n.7001.

(8) F. CANDIAN, Documento e documentazione (teoria generale), Enc. Dir., Milano, …, 588.

(9) In senso contrario: V. DENTI, Prova documentale, in Enc. Dir., XXXVII, 1988, 713 ss.. Per l’autore non vale il tipo di distinzione suesposto, bensì ogni cosa, e non solo quella creata per altri motivi, diventa solo processualmente un documento, poiché  “la rappresentatività non è un dato costitutivo del documento, ma un giudizio … la cosa, quindi, non è di per sé stessa documento, ma diviene tale nel momento in cui viene posta in relazione col thema probandum, attraverso un procedimento induttivo che ha alla base la sua identificazione come fonte attendibile di conoscenza del fatto”. 

(10) F. CARNELLUTTI, op. cit., 85.

(11) PESANTE, Documento, in Enc. For., 349. Si ha, in generale, una dichiarazione quando qualcuno esteriorizza ad altri qualcosa facendosi riconoscere, sia essa una volontà, un pensiero una narrazione, perché per il diritto positivo l’atto dichiarativo è tale nella misura in cui sia riconoscibile chi lo ha compiuto.

(12) F. CARNELLUTTI, op. cit., 85.

(13) F. CARNELUTTI, La prova civile, Roma, 1947, 134 ss..

(14) Fuori dei casi espressamente previsti, è, inoltre, consentito alle parti di un rapporto negoziale di stabilire convenzionalmente una qualsiasi forma per i loro accordi (art.1352 c.c.: “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”).

(15) La forma scritta ad substantiam è in realtà un forma “sotto – scritta”, atteso che l’art.1350 c.c. recita: “Devono farsi per atto pubblico o scrittura privata sotto pena di nullità …..” F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, 83.

(16) Il ricorso, in deroga al generale principio di libertà della forma negoziale, ad una forma vincolata è dettato, storicamente, dall’esigenza di “determinare negli interessati un’atmosfera negoziale, svegliarne la consapevolezza giuridica, sollecitarli a più matura riflessione, garantirvi la serietà della decisione finale”. S. TONDO, Formalismo negoziale tra vecchie e nuove tecniche, in Riv. notariato, 1999, 924. Secondo l’Autore, inoltre, “l’istanza della forma scritta, nella prospettiva moderna per la regolamentazione degli atti negoziali, vuole essere sempre, indipendentemente dal fatto che abbia a concretarsi in scrittura privata o pubblica, in ragione dell’efficacia probante, ch’essa può assolvere, in ordine ad un atto dichiarativo”. La forma ad substantiam è, inoltre, sempre richiesta quando la documentazione costituisce l’esercizio di una pubblica funzione V. DENTI V., op. ult. cit, 715. Inoltre, “Quando nei contratti la forma scritta è richiesta ad substantiam il documento deve contenere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere quel determinato negozio, non essendo sufficienti a provare l’avvenuta stipulazione, né la produzione di un documento che si limiti a riconoscere il fatto dell’avvenuta conclusione, né la concorde ammissione delle parti che il contratto stesso fu stipulato nella forma scritta.” Cass., 30 agosto 1994, n.7590; Cass., 29 ottobre 1994, n.8937.

(17) F. CARNELUTTI, op. ult. cit., 135; V. DENTI V., op. ult. cit., 713; E. REGGIANI, Forma e firma digitale: struttura e valore probatorio del documento informatico, in Documenti giustizia, 1998, 1587; E. MARMOCCHI, Scrittura privata, Enc. Giur., Roma, XXVIII, 1992, 1.

(18) N. IRTI, Idola libertatis, Milano, 1985, 49 ss..

(19) Cass. 12 febbraio 1986, n.855, “Qualora  per  la  validità  di  un  contratto sia prescritta la forma scritta  ad substantiam, essendo il contratto, privo della menzionata forma,  nullo, la prova di esso deve fornirsi esclusivamente mediante atto pubblico o scrittura privata”.

(20) In tal senso, anche V. DENTI V., op. ult. cit., 715; R. SACCO, La forma, in Trattato di Diritto Privato, Torino, 1982, 219. In senso contrario, S. TONDO, op. cit., 930, il quale mette in evidenza il carattere eversivo di tali conclusioni.

(21) L’atto per cui è richiesta la forma scritta ad probationem sarà valido anche ove non sia stato documentato in la forma scritta.

(22) In tal senso Cass., 6 ottobre 1999, n.11117 (devono risultare documentalmente tutti gli elementi essenziali del negozio”); Cass., 7 luglio 1999, n.7048 (“tale prova può essere costituita da una qualsiasi attestazione scritta circa la esistenza del negozio, anche se successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, purchè attribuibile alle parti”); Cass., 16 maggio 1996, n.4552; Cass., 14 maggio 1993, n.5489 (entrambe queste ultime si riferiscono a documento sottoscritto da una sola parte); Cass., 2 novembre 1992, n.11871; Cass., 12 agosto 1992, n.9525 (“lo scritto è forma della prova e non forma dell’atto, sicché il requisito dell’esistenza della forma può essere ricostruito nei modi più vari, attraverso la confessione di una delle parti, la quietanza a saldo contenente la causale del versamento e simili altri fatti … la forma scritta riguarda la sola prova del contratto e l’esistenza di questa può essere ricavata dal giudice in uno dei qualsiasi modi indicati, dovendosi fornire la prova del documento e non dell’accordo in esso contenuto”); App. Napoli, 19 giugno 1993 (la prova di una transazione può trarsi da una quietanza liberatoria che ne riporti gli estremi ovvero da una corrispondenza scambiata dalle parti); Pret. Torino, 28 novembre 1990, in Foro it., 1991, I, 954 (“la prova del contratto di edizione per il quale è richiesta la forma scritta ad probationem, può essere fornita mediante la produzione in giudizio del testo edito con il nome dell’autore e dell’editore.”); Cass., 28 luglio 1989, n.3540 (“non è preclusa l’utilizzabilità di documenti successivi alla conclusione del contratto”); Cass. 18 giugno 1986, n.4071 (dichiarazione unilaterale di natura confessoria sottoscritta dalla parte che abbia interesse contrario all’accertamento della simulazione); Cass., 23 agosto 1985, n.4500; Cass., 30 luglio 1982, n.4361.

E’ necessaria sul punto una precisazione.

L’art.2724 c.c., nel prevedere le eccezioni al divieto di prova testimoniale avverso il contenuto di un contratto scritto, al n.1 dispone che la prova testimoniale è ammessa in ogni caso quando vi è un principio di prova per iscritto: “questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato”. Parte della dottrina sostiene, che per principio di prova per iscritto non si debba ritenere un documento contenente già in sé una parte della prova, che debba solo essere integrata, bensì un qualsiasi documento proveniente dalla controparte, anche ove non rechi la sua sottoscrizione, F. CANDIAN F., op. cit, 586, ma la giurisprudenza dominante è orientata in senso contrario, e cioè nel pretendere che il documento sia sottoscritto: Cass., 18 dicembre 1999, n.12813; Cass. 1 aprile 1999, n.3120; Cass. 13 novembre 1997, n.11232. Anche qui, tuttavia, si potrebbe riproporre l’eventuale ricorso a situazioni equipollenti per accertarne la provenienza.

Il principio di prova scritta non si identifica con la forma scritta ad probationem, perché esso pur consistendo in un qualsiasi scritto proveniente dalla parte contro la quale la domanda è diretta, è inidoneo a provare direttamente il fatto, ma sufficiente a renderlo verosimile. Quindi, perché esso ricorra si richiede, oltre alla sua provenienza dalle parti ed il nesso logico tra lo scritto ed il fatto controverso (Cass., 16 luglio 1980, n.4623; Cass., 21 aprile 1981, n.2337), soltanto la verosimiglianza, che non è una prova e neppure, per se stessa, presunzione, ma al più un argomento di prova C. MANDRIOLI, op. cit., II, 240 e 164. (Al principio di prova scritto viene, tuttavia, attribuita dal Supremo Collegio la rilevanza di mera prova indiziaria Cass., 12 novembre 1981, n.6001; Cass., 8 ottobre 1981, n.5296, in grado di rendere ammissibile la prova testimoniale ed il ricorso alle presunzioni semplici ulteriori).    

(23) Sull’ammissibilità della confessione e del giuramento: Cass., 26 settembre 1997, n.9462; Cass., 6 maggio 1996, n.4167, in Giur. It., 1997. I, 2, 319; Cass., 29 marzo 1993, n.3771, in Nuova giur. Civ., 1994, I, 184, con nota di Conio; Cass., 13 marzo 1991, n.2653; Cass., 27 aprile 1989, n.1947; Cass., 9 febbraio 1982, n.775.

(24) E. REGGIANI, op. cit., 1587.

(25) In tal senso G. VERDE, Prova documentale (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XXXVII, 616, Milano, 1988, il quale implicitamente afferma, che la forma ad probationem è oggetto di cui le parti possono disporre. Secondo Cass., 13 aprile 1999, n.3621, “richiedendo la transazione la forma scritta non già ad substantiam ma ad probationem tantum, si appalesa non ortodossa la declaratoria con la quale il giudice del merito, in una situazione in cui i contendenti hanno dato per pacifica l’intervenuta stipulazione del contratto di cui trattasi, ha escluso la rilevanza di questo in ragione soltanto della mancata produzione di un documento, sottoscritto dai contraenti, idoneo a documentare la formale consacrazione per iscritto dell’accordo negoziale”. Nel caso esaminato dalla predetta sentenza, era stato depositato in giudizio un atto documentato in forma scritta, ma non sottoscritto dalle parti, le quali davano per pacifica la sua provenienza da loro medesime, cosicché, più che un problema di forma, si era posto un problema di accertare la provenienza del documento, rispetto alla quale si è verificata una relevatio ab onere probandi, data dal fatto non contestato. E’ costante l’orientamento della giurisprudenza del Supremo Collegio nel ritenere che il fatto pacifico tra le parti non abbia bisogno di essere provato, salvo che la legge richieda un atto scritto ad substantiam o ad probationem, Cass., 29 aprile 1982, n.2710; Cass., 20 febbraio 1975, n.656; Cass., 25 gennaio 1975, n.294; Cass., 7 novembre 1974, n.3398; Cass., 31 maggio 1966, n.1449, in Riv. dir. proc., 1967, 343 ss., con nota contraria di Laserra, Osservazioni sulla prova della forma.

(26) F. CANDIAN F., op. cit, 586.

(27) Cass., 18 dicembre 1999, n.12813; Cass. 1 aprile 1999, n.3120; Cass. 13 novembre 1997, n.11232.

(28) Cass., 16 luglio 1980, n.4623; Cass., 21 aprile 1981, n.2337.

(29) C. MANDRIOLI, op. cit., II, 240 e 164. Al principio di prova scritto viene, tuttavia, attribuita dal Supremo Collegio la rilevanza di mera prova indiziaria Cass., 12 novembre 1981, n.6001; Cass., 8 ottobre 1981, n.5296, in grado di rendere ammissibile la prova testimoniale ed il ricorso alle presunzioni semplici ulteriori.    

(30) Cass., 13 marzo 1991, n.2653; Cass., 27 aprile 1989, n.1947; Cass., 9 febbraio 1982, n.775. Inoltre, l’art.2739 c.c. vieta espressamente la possibilità di deferire giuramento decisorio sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta.

(31) Cass., 8 settembre 1999, n.9549; Cass., 25 marzo 1995, n.3562; Cass., 16 giugno 1992, n.7400; Cass., 21 dicembre 1988, n.6987; Cass., 7 aprile 1987, n.3351; Cass., 21 luglio 1983, n.5029; Cass., 14 aprile 1982, n.2256.

(32) F. CANDIAN F., op. cit.,589.

(33) S. PATTI, op. cit., 12.

(34) “Se lacero il foglio di carta, distruggo il documento, ma non sopprimo dalla storia degli uomini lo scrivere, la forma grafica in cui si espresse l’autore. La forma sta nello scrivere e questa ha l’effimera labilità del muto contegno e della parola detta. Nessuna forma dura nel tempo; tutte appartengono al passato”, N. IRTI, La rinascita del formalismo e altri temi, in Idola libertatis, Milano, 1985, 60.

(35) Proprio il carattere corporale del documento porta la dottrina civilistica ad inquadrarlo tra i beni mobili materiali ed a giustificare la disciplina speciale cui è assoggettato in funzione del particolare vincolo di accessorietà che lo lega al fatto rappresentato, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, 61; S. PATTI, op. cit., 10.

(36) CARRARO, Diritto sul documento, 50.

(37) La distinzione tra diritto di proprietà sulla res e diritto sul contenuto del documento rileva, altresì, con riferimento ai documenti pubblici. Se infatti i privati non possono in genere ottenere gli originali dei documenti pubblici, essi hanno tuttavia il diritto di ottenere delle copie che, se compilate dal pubblico ufficiale competente, hanno lo stesso valore probatorio degli originali (S. PATTI, op. cit., 11).