Disconoscimento
di paternità ex art.235 c.c..
Antonio
Milite
Il marito sebbene fosse a
conoscenza, all’epoca del matrimonio, della gravidanza della moglie per un
rapporto da lei intrattenuto con un altro uomo, può esercitare l’azione di
disconoscimento di paternità ex art. 235 c.c.? Per risolvere il caso in questione occorre
preliminarmente osservare che il nostro ordinamento prevede la presunzione
legale di paternità in base alla quale chi è nato o concepito in costanza di
matrimonio si presume figlio del marito della madre. Più precisamente il figlio
nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del
matrimonio è reputato legittimo, sebbene concepito fuori dal matrimonio, se uno
dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità (art. 233
c.c.), mentre il figlio nato dopo che siano trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio si presume concepito durante il matrimonio (art.
232 c.c.).
In entrambi i casi il figlio si considera legittimo.
Orbene l’azione di disconoscimento di paternità è
volta a rimuovere lo stato di figlio legittimo in contrasto con la presunzione
legale di paternità.
Tale azione si atteggia in maniera diversa a seconda
che il figlio sia nato prima o dopo che siano trascorsi centottanta giorni
dalla celebrazione del matrimonio:
-
se il figlio è nato dopo che sia trascorso tale periodo, l’azione di
disconoscimento si può esperire solo se ricorre uno dei quattro casi tassativamente
specificati nell’art. 235 cc.: 1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo
compreso tra il trecentesimo e il centoattantesimo giorno prima della nascita;
2) se durante tale periodo il marito era affetto da impotenza, anche se
soltanto di generare; 3-4) se in tale periodo la moglie ha commesso adulterio o
ha tenuto celata la marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In
tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche
genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o
ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità;
-
se il figlio è nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio l’azione di disconoscimento non conosce limiti di
ammissibilità, prescindendo dalla sussistenza dei presupposti indicati dall’art.
235 c.c. Questa semplicità è giustificata in quanto, prima del matrimonio, i
nubendi non avevano l’obbligo di fedeltà, e non è neppure consueta la
coabitazione, sicchè può essere verosimile che il marito non abbia cooperato
alla nascita del figlio. Tuttavia l’attore che agisce per il disconoscimento ha
sempre l’onere di provare il fatto costitutivo della relativa pretesa, ossia la
non paternità, atteso che la posteriorità della nascita rispetto al matrimonio
è di per sé sufficiente ad integrare una presunzione di status di figlio
legittimo; pertanto va rigettata la domanda il cui fatto costitutivo-non
paternità non sia provato altrimenti che sulla base del mero fatto cronologico
della nascita (Cass. 12211/90; Cass. 4281/88).
Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975
l’art. 233 c.c., oltre che ad attribuire solo al marito l’esercizio dell’azione
di disconoscimento del figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni
dalla celebrazione del matrimonio, al 2° comma ne escludeva comunque l’esercizio
in due casi: quando il marito era consapevole della gravidanza prima del
matrimonio e quando risultava dall’atto di nascita che la dichiarazione fu
fatta dal marito o da un suo procuratore speciale. La soppressione completa di
questo 2° comma operata dalla riforma ha modificato l’art. 233 c.c. sicchè
l’ignoranza del marito sulla gravidanza prima del matrimonio per esperire
l’azione de quo oggi non è più richiesta: il legislatore ha così inteso far
trionfare il più possibile la verità del vincolo di sangue anche sacrificando
il cosiddetto “onore” del marito e l’unità della famiglia.
In riferimento al termine per esercitare l’azione di
disconoscimento l’art. 244 c.c. prevede che può essere proposta dal marito
entro un anno dalla nascita del figlio. In caso di adulterio è però intervenuta
una pronuncia della Corte Costituzionale la quale, risolvendo definitivamente
contrastanti massime della giurisprudenza di merito, ha stabilito che il
termine dell’azione di disconoscimento decorre dal giorno in cui il marito sia
venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie (Corte Cost. 134/85). La
Suprema Corte ha successivamente specificato che il termine annuale per la
proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità decorre dal giorno della scoperta dell’adulterio
nell’ipotesi in cui detta scoperta sia avvenuta successivamente alla nascita,
mentre la decorrenza del termine resta quella fissata nel testo dell’art. 244
c.c. nella diversa ipotesi in cui la conoscenza dell’adulterio si sia
verificata in epoca anteriore a tale evento (Cass. 5626/90).
Si rileva infine che l’azione di disconoscimento di
paternità è prevista a tutela di un diritto tipicamente indisponibile, in
quanto di esso non è ammesso alcun tipo di negoziazione o anche di semplice
rinunzia abdicativa, essendo stabilito solo per assicurare che i rapporti di
famiglia, e massimamente quelli di filiazione, corrispondano a verità, a tutela
di un interesse pubblico che trascende quello eventualmente contrario dei
privati. (Cass. 2465/93; Cass. 8087/98).
Di conseguenza il marito che si è sposato conoscendo
lo stato di gravidanza della moglie, frutto dell’unione con un altro uomo, non
ha implicitamente, rinunciato, proprio perché non ne poteva disporre, ad
esperire l’azione di disconoscimento di paternità nei confronti del nascituro.
Da quanto suesposto si evince che nel caso in esame
il marito può esercitare l’azione di disconoscimento di paternità ricorrendone
tutti i presupposti e condizioni di legge.