I contratti d’impresa

Giuseppe Fiengo

 

La possibilità, allo stato dell’attuale legislazione italiana, di individuare un’autonoma categoria di “contratti d’impresa” è stata, di recente, oggetto di approfondito esame da una parte della nostra dottrina, sulla base di dati normativi e non.

Nell’impostazione codicistica del 1882, la previsione di un separato e, per molti aspetti, autonomo sistema dei contratti “commerciali” derivava dalla necessità di dettare, per i rapporti contrattuali più direttamente connessi alle attività produttive, una disciplina conforme allo sviluppo raggiunto da queste.

Con l’affermarsi della produzione, della distribuzione e dei consumi di massa, tale sviluppo ha investito l’intero sistema economico e la disciplina contrattuale si è, quasi necessariamente adeguata alle esigenze dell’impresa, essendo quest’ultima divenuta la forma generale delle attività economiche.

Così l’unificarsi della materia civilistica e di quella commercialistica operata dal codice del 1942, con il conseguente fenomeno della cd. “commercializzazione del diritto civile” (locuzione, questa, da intendersi come espressione della maggiore forza espansiva delle norme regolanti il diritto degli affari rispetto alle norme proprie del diritto civile) ha comportato, secondo molti, il superamento di una distinzione (quella appunto tra contratti d’impresa e contratti in generale) che trova invece riscontro in tutti i più importanti ordinamenti di civil law, nei quali è rimasta la distinzione tra codice civile  commerciale.

Il primo autore a contestare la posizione dell’allora preminente dottrina civilistica in materia, tesa a dimostrare il superamento della distinzione di cui sopra, fu il Dal Martello, con l’opera “I contratti dell’impresa commerciale”.

Nell’ultimo decennio tale tesi, in precedenza pressochè isolata, è stata ripresa da più parti, dall’Oppo, per esempio, ed in particolare dal Buonocore.

L’impostazione strutturale data al problema da tali autori è diversa, ma il risultato uguale: sarebbe possibile individuare un’autonoma categoria di contratti d’impresa, con conseguenze importantissime, non tanto a livello dommatico, quanto in relazione all’intera disciplina di taluni rapporti riguardanti l’impresa.

Il problema della configurabilità di una categoria di contratti d’impresa autonoma – non solo dal punto di vista concettuale od economico, ma anche giuridico- in funzione del nesso esistente tra gli stessi contratti e l’attività d’impresa, non va, quindi, posto nella prospettiva dell’individuazione di vulnera all’unità del sistema privatistico.

La questione riguarda invece l’individuazione dei profili e degli aspetti circa i quali l’inerenza alla dimensione dell’impresa conferisce, anche nell’ambito di principi generali omogenei, una precisa impronta all’attività negoziale in chiave di disciplina. Ciò, si ribadisce, non implica però che questa “specialità” della normativa, abbia quale fondamento, il contrapporsi di due distinti sistemi giuridici.

Già il Santoro-Passarelli, autorevole sostenitore del cd. “metodo dell’economia”, avvertendo fortemente l’esigenza di adeguare le forme giuridiche alla sostanza economica dei fenomeni disciplinati dal diritto, scriveva che “i concetti giuridici devono avere come punto di partenza i concetti economici”[1].

Con riferimento al quadro normativo delineato a partire dal 1942 il punto di partenza della presente indagine non può che essere quello della assoluta centralità dell’impresa nella disciplina dei rapporti economici.

In tale contesto infatti l’impresa individua il fulcro delle attività produttive improntate alla progressiva compenetrazione, nell’ambito di processi unitari, della funzione industriale e di quella commerciale.

In questo senso si comprende perché, secondo il Dal Martello, il collegamento economico esistente tra i vari atti che l’imprenditore compie nell’esercizio dell’impresa comporta rilevanti conseguenze per il diritto; dello stesso indirizzo il Ferri, secondo il quale “anche quando non costituisca un presupposto dell’atto singolo, il collegamento economico esplica la sua influenza, determinando particolari atteggiamenti e problemi dei quali naturalmente il diritto tiene conto”.

In definitiva, i contratti governano l’organizzazione ed il funzionamento dell’impresa, che appare, in sostanza, come una fittissima rete di rapporti contrattuali; essi operano quali trait d’union e, allo stesso tempo, come punto dirimente tra l’attività, oggettivamente intesa, ed il soggetto esercente, poiché finiscono con l’essere strumentali alla prima, pur rimanendo imputabili al secondo.

E’ un dato, questo, riscontrabile anche alla luce di nuovi strumenti che rivoluzionano lo stesso modo d’essere dell’impresa quali quelli derivanti dalle tecnologie informatiche.

A riprova di tali considerazioni può essere utile far riferimento all’incidenza sull’impresa, dei nuovi strumenti di contrattazione elettronica.

L’impresa risultante dalla rivoluzione industriale si basava infatti, in termini generali, sulla produzione di massa e sullo sviluppo delle strutture di trasporto e logistiche.

Quella che, in modo non ancora del tutto preciso e definitivo, si va delineando nell’ambito della società dell’informazione è caratterizzata invece dalla capacità di coordinare, tramite i nuovi strumenti tecnologici, i diversi fattori produttivi interni ed esterni in funzione del mercato ( che diviene, in una società in cui ognuno può accedere, a basso costo, ad un’informazione potenzialmente illimitata, il vero protagonista dei nuovi scenari economici).

Come è facile immaginare, queste innovazioni incidono in modo diretto sulla struttura stessa dell’impresa.

Basta pensare, ad es., senza voler approfondire la questione, al fatto che in un mercato, quale quello che si va imponendo, sempre più efficiente (a fronte dell’eliminazione di molte barriere d’accesso e del conseguente aumento del grado di competitività) la dimensione e complessità dell’impresa moderna risultano frequentemente antieconomiche poiché le sue finalità di riduzione dei costi di transazione perdono d’importanza.

Questi cambiamenti derivano dalle nuove modalità di contrattazione proprie dell’e-business, ma, e ciò conferma ulteriormente quanto si intende dimostrare, gli stessi cambiamenti determinano, a loro volta, l’emergere di nuove figure contrattuali o, quanto meno, di peculiarità entro gli schemi contrattuali già conosciuti ( a voler tacere di altre importanti conseguenze, quali, ad es., l’emergere di nuove figure professionali).

Sono tutte considerazioni, queste, che rendono naturale, data la forte valorizzazione del ruolo dell’impresa, derivante dall’evoluzione e dalla trasformazione del complessivo sistema economico, lo sviluppo di una variazione assai significativa del fenomeno contrattuale e degli istituti che ad esso afferiscono.

L’avvento dell’impresa a dignità di “forma generale delle attività economiche” da un lato ed il raccordo tra il contratto e l’organizzazione imprenditoriale (intesa in senso statico e dinamico) dall’altro contribuiscono infatti ad alimentare la tendenza della disciplina delle relazioni negoziali –valutata in tutti i suoi profili e articolazioni- a modellarsi secondo le logiche dell’attività.

E’ in tale prospettiva che deve ripensarsi il dato dell’ ”unitarietà”, nelle linee fondamentali, della disciplina dei rapporti contrattuali d’impresa.

In sostanza il regime dei contratti tende sempre più ad ispirarsi a principi di carattere generale che postulano l’immanenza dell’impresa nelle dinamiche negoziali; sempre più, cioè, la contrattazione asseconda e al tempo stesso detta i tempi di gestione dell’attività d’impresa, ne interpreta le istanze organizzative e di programmazione, in definitiva si traduce in concreta azione economica.

Di qui la necessità di individuare un nuovo ruolo per il contratto che sempre più si pone come mezzo di innovazione giuridica, quale strumento cioè sempre più frequentemente idoneo, più delle fonti tradizionali, a porre una regolamentazione omogenea dei rapporti che si intrecciano sul mercato.

Ciò è tanto vero che può in definitiva rilevarsi come l’attuale scena giuridica sia dominata, in misura sempre maggiore, dalla circolazione, a livello internazionale, di modelli contrattuali uniformi.

Modelli che ovviano all’inettitudine della legge in ordine all’innovazione giuridica nell’ambito di un’economia che è metanazionale – a fronte del carattere nazionale della legge- ed in continua trasformazione, un’economia cioè che richiede flessibili strumenti di adeguamento del diritto ai mutamenti della realtà – a fronte della rigidità delle leggi -.

Va delineandosi, quindi, come detto, una regolamentazione dettagliata ed internazionalmente uniforme delle relazioni d’affari fondata su una fitta rete di clausole standard, di regole e pratiche, di condizioni generali e di contratti tipo.

Vanno imponendosi sempre più contratti atipici creati non dai legislatori nazionali, ma dai consulenti delle associazioni internazionali delle diverse categorie imprenditoriali, dagli uffici legali delle grandi multinazionali.

Si tratta di un fenomeno che sembra riproporre, come da più parti ormai si afferma, l’idea di una nuova lex mercatoria: la funzione di questi contratti sembra infatti essere quella di realizzare l’unità del diritto entro l’unità dei mercati, quella cioè di superare la discontinuità giuridica derivante dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di stati.

Tutto ciò non può però comportare che si prescinda dalle considerazioni del carattere unilaterale di tali clausole e modelli contrattuali e della necessità, quindi, della valutazione dell’opportunità di interventi regolatori ab externo.

Tali interventi potranno concretizzarsi in discipline di natura legislativa o in iniziative adottate da organismi internazionali neutrali e tecnicamente accreditati, ma dovrà trattarsi di interventi comunque volti a disciplinare i rapporti in senso più equilibrato, nella logica dell’efficienza del mercato.

 

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[1] Santoro-Passarelli, “L’impresa nel sistema del diritto civile”, in Riv. dir. comm. 1942, I, p.377