1.- L’art. 15, comma II, della Legge 15 marzo 1995 n.59. 2.- Il
documento elettronico. 3.- Il concetto
di chiave. 4.- Le comunicazioni telematiche. 5.- L’informatizzazione della
Pubblica Amministrazione in relazione ai principi della 241/90 e della 142/90.
6.- I contratti on line. 7.- La comparazione tra i disegni di legge per il
settore pubblico e per quello privato. 8.- Il telelavoro e la Bassanini ter.
9.- Il Decreto 39/93 ed il telelavoro. 10.- L’art. 4 della legge 191/98 ed il
telelavoro. 11.- Il D.p.r. 8 marzo 1999, n.70 ed il telelavoro. 12.- La
sospensione del rapporto di lavoro del telelavoratore.
1.- L’art. 15,
comma II, della Legge 15 marzo 1995 n.59.
Il presente scritto, é sottoposta ad un incontrollabile fenomeno di invecchiamento logico-giuridico dovuto al continuo evolversi del telelavoro, per questo si tenta di frenare questo inarrestabile mutamento introducendo il concetto di firma digitale, la quale garantisce la certezza della prestazione è quindi in grado di dare molte risposte del perché telelavorare.
Già anni fa, Limone parlava di questa firma e delle
sue possibili ripercussioni nella società di fine millennio. Che tutto sia partito
dalle innumerevoli file o dai pomeriggi
passati negli uffici pubblici italiani, in questo ultimo scorcio degli anni ‘90
il Ministro Bassanini e altri collaboratori della funzione pubblica hanno
finalmente voluto questa rivoluzione
tecnologica applicativa.
Illustreremo successivamente le varie problematiche aiutandoci il più possibile su come funzionerà questa
firma digitale con l’aiuto di schemi elaborati con Freelance Graphics, ma la
sistematicità dell’argomento consta
sicuramente di una trattazione di
scadenze e passi temporali.
2.- Il
documento elettronico.
Il documento elettronico ha fatto il suo debutto nel
nostro ordinamento giuridico nell’art. 15, comma II, della legge 15 marzo 1997
n. 59 (c.d. Legge Bassanini).
L’idea di partenza accennata nelle righe
introduttive è quella di rivoluzionare l’efficienza e l’attività della pubblica
amministrazione, coinvolgendo due parole
dall’importanza fondamentale nel gergo del funzionario pubblico: il risparmio
e la trasparenza amministrativa.
Un processo di semplificazione che va verso la
dematerializzazione dell’attività della
pubblica amministrazione, il regolamento sul documento informatico consentirà
di procedere attraverso sistemi informatici ad un rapporto tra cittadini e
pubblica amministrazione con minore contatto materiale diffondendo il concetto
di rete pubblica snella al servizio del richiedente cittadino, ecco perché il
telelavoro è disciplina di sviluppo proprio perché si inserisce nelle maglie
funzionali dell’apparato amministrativo funzionale attraverso i dipendenti (1).
Ora l’art. 15 enuncia che gli atti, dati e documenti
formati dalla pubblica amministrazione e dai privati, con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle
medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti
informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge.
Per firma digitale si intende il risultato della
procedura informatica, che rende manifesta
e consente di verificare la riferibilità soggettiva e l’integrità di uno più
documenti elettronici.
Un primo punto epocale e di svolta sta nel fatto
che, per la prima volta, venga attribuito pieno valore legale al documento elettronico.
Si da così il via libera a tutte quelle forme di
negoziazione e transazione economiche di cui la rete delle reti tanto
aspettava: scambi, compravendite che possono essere messe in atto tra soggetti pubblici, o da soggetti privati, non
da meno la protocollazione informatizzata di tutti gli atti cartacei e la possibilità del reperimento e della
consegna immediata agli interessati
degli atti archiviati .
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n 87 del
15 aprile 1999 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 8 febbraio
1999 sul regolamento sulle norme tecniche per la formazione, la trasmissione,
la conservazione, la duplicazione etc., degli atti non più scritti, ma formati
con il supporto degli strumenti elettronici.
Ma cosa realmente cambia?
Cambia che gli atti pubblici e i negozi privati
emanati o stipulati mediante l’utilizzo di sistemi informatici e telematici,
sono validi e rilevanti, anche se non trasposti su supporto cartaceo.
Quindi si riconduce il documento elettronico alla
forma riconosciuta dal nostro ordinamento,
per antonomasia, cioè alla forma scritta.
Il nostro ordinamento prevede questo tipo di forma,
per la stipula di determinati contratti oppure é richiesta come mezzo di
prova; il ricondurre delle sequenze di
bit alla scrittura privata era la
parte più difficile, non tanto per
difficoltà tecnico scientifiche, ma soprattutto di volontà ad adeguarsi ai tempi moderni.
Il documento
cartaceo può vantare in calce la firma autografa della persona cui si riferisce, inoltre la firma è
autenticata da pubblici ufficiali che partecipano in modo necessario alla formazione dell’atto.
Il D.P.R. 513/97 attua i principi stabiliti dalla legge Bassanini.
E’ ribadita l’efficacia probatoria prevista dall’articolo 2702 del c.c. per la
scrittura privata.
La scrittura privata fa piena prova, fino a querela
di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui
contro il quale la scrittura è prodotta
ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente
considerata come riconosciuta; il documento elettronico quindi costituisce
un’informazione originale della quale
si possono effettuare copie su diversi
tipi di supporto per gli usi consentiti
dalla legge.
I documenti possono essere firmati elettronicamente,
il meccanismo è quello della generazione delle chiavi asimmetriche di crittografia, mediante l’utilizzo di un
algoritmo matematico che consente di
sottoscrivere un documento senza poi disconoscerlo (2). La crittografia
impedisce anche al ricevente di negare che sia avvenuta la spedizione o meglio
la ricezione.
Il regolamento recentemente approvato contiene poi
importanti norme per la conclusione di contratti stipulati a distanza attraverso le reti telematiche.
L’art. 1, del DPR 10 novembre 1997 n. 513, qualifica
il documento informatico come rappresentazione informatica di atti, fatti o
dati giuridicamente rilevanti.
3.- Il concetto di chiave.
Per firma digitale si intende invece, nel contesto
della legge, il risultato della procedura informatica di convalida, basata su un sistema di chiavi asimmetriche
a coppia una pubblica l’altra privata.
Per convalida si intende l’azione del sistema informatico
crittografico in grado di generare e
apporre la firma digitale o di verificarne la validità.
Per chiavi asimmetriche la legge intende la coppia
di chiavi di cifratura , una privata l’altra pubblica, correlate tra loro, da
utilizzarsi nell’ambito del sistema di convalida di documenti informatici
In particolare per chiave privata si intende
l’elemento della coppia di chiavi
asimmetriche, destinato a essere reso pubblico con il quale si verifica la
firma digitale apposta sul documento informatico dal titolare delle chiavi
asimmetriche o si cifrano i documenti
informatici da trasmettere al
titolare delle predette chiavi.
Il primo articolo dopo aver qualificato il documento
informatico e cosa sia la firma digitale (sistema basato su un principio di chiavi
asimmetriche), menziona la procedura di validazione, che altro non è che un
sistema informatico e crittografico, quindi, un sistema segreto di scrittura in
codice, in grado di generare ed apporre la firma digitale o di verificarne la
validità, permette alla chiave pubblica di essere rilevata dai sistemi di convalida,
mediante i quali si garantisce la corrispondenza biunivoca tra chiave
pubblica e soggetto privato titolare,
cui essa appartiene, si identifica quest’ultimo e si attesta il periodo di validità della predetta chiave e il
termine di scadenza del relativo certificato, il quale non deve essere superiore
a tre anni.
Per chiave pubblica si
intende l’elemento della coppia di chiavi asimmetriche destinato ad essere reso pubblico, con il quale
si verifica la firma digitale apposta
sul documento informatico dal titolare delle chiavi asimmetriche, o si cifrano,
cioè codificano i documenti informatici da trasmettere al titolare delle predette
chiavi.
Per convalida temporale la legge intende il
risultato della procedura informatica,
con cui si attribuiscono, a uno,o più documenti informatici una data, orario opponibili ai terzi.
Per indirizzo elettronico, l’identificatore di una
risorsa fisica o logica, in grado di ricevere e registrare documenti
informatici; invece per certificatore il soggetto pubblico o privato che
effettua la certificazione, rilascia il certificato della chiave pubblica, lo
pubblica unitamente a quest’ultima, rende noti
ed aggiorna gli elenchi dei certificati sospesi o revocati.
L’art. 2, invece, ribadisce il nodo centrale della
riforma: il documento informatico da chiunque sia formato, l’archiviazione dei
dati con mezzi informatici, sono validi a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizione del
regolamento.
Quindi il documento informatico munito dei requisiti
enunciati dal regolamento sulla firma digitale
soddisfa a pieno il requisito legale della forma scritta.
Il documento informatico sottoscritto con firma
digitale ha efficacia di scrittura privata ai sensi del già citato
2702 c.c.; ha efficacia probatoria con riferimento all’articolo 2712 c.c.
(riproduzioni meccaniche), soddisfa il 2214 c.c. (libri obbligatori e scritture
contabili).
Validità assoluta, naturalmente, anche per le copie
e gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti si diversi tipi
di supporto, che sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge se
conformi alle disposizione del
regolamento, la norme dispone anche che
i documenti informatici contenenti copia o riproduzioni di atti pubblici,
scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi
spediti o rilasciati dai
depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena
efficacia ai sensi del 2714 c.c. e 2715
del c.c. (copie di scritture private originali depositate), se a essi è apposta
o associata la firma digitale di colui
che li spedisce o rilascia.
4.- Le
comunicazioni telematiche.
Ma quale è, allora, la formalità per firmare un
contratto elettronico?
L’interessato deve munirsi di una coppia di chiavi
asimmetriche di cifratura,cioè per firmare un contratto on line occorre munirsi
di un congegno formato da due parti
combacianti, di cui una è destinata ad essere pubblica, quindi, messa a disposizione di chiunque abbia interesse ad utilizzare il
documento informatico, infatti la parte pubblica è in grado di conoscere, o
meglio di riconoscere la firma apposta
dal titolare, in quanto essa corrisponde con la parte di chiave che è in mano al titolare.
Perciò l’interessato si metterà in contatto con
qualsiasi mezzo (anche telematico) con un certificatore, che è colui che crea
le chiavi asimmetriche oltre che essere
il garante che la chiave pubblica
appartiene a quel determinato soggetto.
Il certificatore, abilitato dall’AIPA identificherà il richiedente, colui che fa la proposta e fornirà la chiave privata rendendo successivamente pubblica e consultabile
da chiunque.
Il sistema d chiavi asimmetriche è il seguente:
l’INTERESSATO ------- CHIEDE AL
----- CERTIFICATORE
La chiave privata
e quella pubblica sono :
SCHEMA DI TRASMISSIONE DATI ATTRAVERSO
LE CHIAVI ASSIMMETRICHE.
1.
A
cifra il messaggio con la chiave pubblica di
B ------ e la invia ------- B decifra con la propria chiave
privata .
Ora occorre che il messaggio cifrato e firmato da A
sia inviato a B:
·
A
cifra il messaggio con la propria chiave privata ------- A cifra il messaggio
con la chiave pubblica d B ------- e la
invia
·
B
decifra il messaggio con la
propria chiave privata --------- B
decifra il messaggio con la chiave
pubblica di A.
2 . Invio del messaggio firmato liberamente
leggibile
· A cifra il messaggio con la
propria chiave privata ------- B legge il messaggio applicando la chiave
pubblica di A.
Da questo schema si evince che un aspetto saliente è quello che chiunque intenda esercitare l’attività di certificazione deve inoltrare all’AIPA la domanda d iscrizione nell’elenco pubblico d cui all’art. 8, comma III, del D.P.R., 10 novembre 1997 n. 513
Chiunque intenda esercitare l’attività di
certificazione deve inoltrare all’AIA
domanda di iscrizione nell’elenco pubblico di cui all’articolo 8 comma
III, D.P.R., 513/97.
Alla domanda devono essere allegati :
·
Copia
del manuale operativo;
·
Copia
del piano di sicurezza;
·
Profilo
del personale responsabile della generazione delle chiavi , della emissione dei
certificati e della gestione del registro delle chiavi;
·
Copia
della polizza assicurativa a copertura dei rischi dell’attività e dei danni causati
ai terzi.
Il certificatore, la cui domanda di iscrizione sia stata accettata deve predisporre con l’AIPA un sistema di comunicazione sicuro attraverso il quale scambiare le informazioni previste dal presente decreto.
L’originale dell’atto amministrativo cessa di essere
unicamente il documento cartaceo, poiché in base all’art. 18 del D.P.R. 513/97
gli atti formati con strumenti informatici
e documenti costituiscono informazione primaria e originale.
L’effetto è quello di eliminare drasticamente la
necessità logistica di locali adibiti ad archivio di documenti cartacei, questo
è altresì possibile perché con il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 428, regolamento per la tenuta del
protocollo amministrativo con procedura informatica, il quale si inserisce di
proposito nel contesto della firma
digitale, nonché nel processo di semplificazione con riferimento all’art 15
della legge 59/97 che ha disciplinato la formazione, trasmissione e
archiviazione dei documenti elettronici, poiché la normativa è destinata a
modificare in modo radicale il sistema di registrazione, trattamento e conservazione
dei documenti amministrativi.
L’attività di protocollazione e la gestione ed
archiviazione dei documenti sarà organizzata ed uniformata per aree omogenee
determinando una diminuzione di protocollo ed archivi non comunicanti tra loro.
5.-
L’informatizzazione della Pubblica Amministrazione in relazione ai principi
della 241/90 e della 142/90.
Infatti con l’informatizzazione dei protocolli delle
pubbliche amministrazioni sarà possibile migliorare la gestione dei procedimenti
amministrativi, in quanto potranno essere collegati al protocollo e
all’archivio creando un sistema completo per l’informazione dello stato della
prassi della pratica, inoltre al sistema potranno accedere anche utenti esterni
alla pubblica amministrazione, soddisfacendo in questo modo la legge 241/90,
trasparenza amministrativa e possibilità di accedere al documento
amministrativo (legge 142/90), poiché il cittadino potrà conoscere così lo
stato di avanzamento della propria pratica, i tempi di definizione e il
responsabile del procedimento.
La gestione automatizzata del flussi documentali
contribuisce, infine, a migliorare il controllo di gestione grazia alla possibile e concreta attuazione del
controllo di verifica dei tempi e dei programmi.
Ed allora l’originale dell’atto è dunque un file a
firma digitale, la cui autenticità è verificabile attraverso il sistema delle
chiavi di controllo, le chiavi di cifratura della pubblica amministrazione saranno
certificate dagli stessi enti, ed in tutti i documenti informatici della
pubblica amministrazione la firma
autografa o la sottoscrizione è sostituita dalla firma digitale.
Questo permetterà di poter consultare
telematicamente i registri delle chiavi pubbliche di modo ché l’autenticità della sottoscrizione del
funzionario pubblico sia certa e controllabile in qualsiasi momento.
Secondo l’art. 17 del D.P.R. 513/97 le pubbliche
amministrazioni provvedono autonomamente alla certificazione delle chiavi
pubbliche dei propri organi ed uffici nell’attività di loro competenza, osservando
le regole tecniche e di sicurezza
previste dal decreto.
La firma digitale è sicuramente il servizio, ma
potremmo parlare di disciplina applicativa, che porterà effettivamente a decollare
il telelavoro, ma per dimostrare questo fissiamo innanzitutto il concetto di
validità.
6.- I
contratti on line.
Il contratto informatico può essere stipulato con
firma digitale , scrittura privata e fa piena
prova fino a querela di falso art. 2702 c.c., i duplicati, anche
cartacei, dei contratti informatici sono validi ad ogni effetto di legge, la
copia informatica di contratti spediti o rilasciati da autorità pubbliche
con firma digitale fanno piena prova
probatoria, a norma dell’art. 2714 c.c. copia di atti pubblici, il legislatore
dispone che le copie degli atti pubblici hanno lo stesso valore dell’originale
quando sono rilasciate e spedite dai
depositari pubblici autorizzati, ossia da coloro cui la legge attribuisce la funzione
di tenere gli atti a disposizione del pubblico
(notati cancellieri) e hanno l’obbligo al rilascio; oltre che in base
all’art 2715 c.c., che dispone che le copie delle scritture private depositate
presso pubblici uffici e spedite da pubblici uffici depositari autorizzati
hanno la stesa efficacia della scrittura privata originale.
Queste procedure danno la possibilità di usare la
firma digitale sia per la conformità che per la procedura di trasmissione; è
autenticabile la sottoscrizione del contratto on line (art. 2703 c.c.), in
quanto si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio e da
altro pubblico ufficiale autorizzato, il quale deve attestare che la
sottoscrizione sia apposta in sua presenza ma che sia valida l’identità di
colui che la appone quindi con la firma digitale questo è sicuramente più
sicuro.
Da ultimo è bene ricordare che esiste il concetto di
validazione temporale, che equivale a
conoscere esattamente la data certa oltre che attraverso il sistema informatico
sarà possibile accertare la data e
l’orario di apposizione e di
stipulazione di qualsiasi tipo di atto, ma soprattutto di contratto.
Questo ci permette di dire che i contratti on line
fanno piena prova fino a querela di falso ed è l’effetto più immediato del regolamento
dell’art. 15 del D.P.R. 513 /97, il quale ha prescritto la validità e la
rilevanza a tutti gli effetti di legge dei documenti atti, contratti formati trasmessi e recepiti con strumenti informatici.
Il cambiamento come si può notare, è sicuramente di
portata generale, ma quello che si
potrebbe obiettare è come si è potuto, con un decreto,permettere di sormontare
il tanto concetto arcaico della scrittura
tradizionale, usando un detto consuetudinario quello di mettere nero su bianco, a permettere di utilizzare degli algoritmi matematici?
L’art. 4 del D.P.R. 513/97 rientra anche in un
concetto molte volte usato dal legislatore italiano come norma di rinvio, ad
una ratio economica; infatti invece di integrare tutte le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali che
prevedono il requisito della forma scritta attraverso il richiamo al
corrispondente documento informatico, il regolamento ha permesso la completa
soddisfazione giuridico legale rendendo
efficace il documento informatico erga omnes come documento di forma
scritta.
Naturalmente il documento informatico deve
rispondere alle regole previste oltre che dal decreto anche dalla
interpretazione autentica codicistica, per poter dire che quel documento
elettronico ha piena efficacia come quello scritto.
Se viene garantita la validità del documento
elettronico che deve avvenire con la sottoscrizione digitale, il documento
allora avrà efficacia a norma dell’art. 2702 c.c..
In questo caso scrittura e contratto informatico
fanno piena prova fino a querela di
falso, della provenienza e dichiarazione
di colui che lo ha sottoscritto
con firma digitale.
L’art. 16 del provvedimento prescrive che si ha per
riconosciuta la firma digitale la cui apposizione sia autenticata da notaio o
altro pubblico ufficiale, questi per garantire che la sottoscrizione è quella
del soggetto interessato dichiareranno che egli l’ha apposta in loro
presenza che risponde alla loro
volontà, non estorta con i vizi che
potrebbero inficiare il contratto e che
non contrastano i principi dell’ordinamento, oltre che attestare la validità
della chiave utilizzata.
Ancora non è ben chiaro il perché possa essere utile
tutto questo discorso al telelavoro, ma per poterci arrivare gradatamente,
esaminiamo se effettivamente esiste un controllo, una equiparata tutela verso
coloro che stipulano contratti informatici e quindi in un certo senso, con coloro
che in futuro consumeranno questo tipo di procedura.
Il primo aspetto da tenere ben presente è: se è
valida la firma digitale per la stipula dei contratti, allora essa deve essere
valida anche per gli atti
unilaterali come la rinunzia
all’usufrutto tipico esempio di rinuncia abdicativa, a norma dell’art. 1324
c.c. in quanto è prevista la equiparazione giuridica, ma ai contratti l’art. 11
del D.P.R. 513/ 97, delinea una vera e propria disciplina disponendo che la stipula con strumenti informatici o per
via telematica mediante l’uso della firma digitale sono validi a tutti gli
effetti.
Questo primo aspetto, già ci permette di discorrere
sulla vera attualità dell’argomento con riferimento al telelavoro poiché si
potrà permettere a qualsiasi soggetto di stipulare ex novo un contratto e di
trasmetterlo ad un altro mediante la firma digitale, allargare l’arbitrio
consumistico della volontà privata al raggiungimento di un qualsiasi fine
legale, nonché di poter stipulare dei veri e propri contratti di lavoro informatici,
eseguendo la prestazione dedotta all’interno del contenuto contrattuale è ora
realizzabile attraverso un
controllo reale dei vari
momenti, scanditi dalla formazione, trasmissione, percezione dell’oggetto
contrattuale e tanti più dalla prestazione
contrattuale.
Gioco forza proposta ed accettazione, potranno
essere controllate sia temporalmente che oggettivamente, nonché saper chi sta
eseguendo quella prestazione o chi non sta eseguendo esattamente,
l’adempimento.
A questo va aggiunto l’uso da parte di questi
soggetti di chiavi revocate o sospese per firmare un documento elettronico tale
aspetto equivale ad una mancata
sottoscrizione e sicuramente, anche ad un inesatto adempimento della prestazione.
E’ possibile anche poter usare questa nuova formalità simulatoria, da affiancare al
telelavoro, poiché il regolamento coordina le proprie norme con quelle previste dal decreto legislativo sui contratti
conclusi fuori dai locali commerciali; regolamento che prevede la clausola di
ripensamento a favore del consumatore
(il consumatore è tenuto a restituire all’operatore commerciale o al
soggetto da questi designato la merce ricevuta entro sette giorni dalla data
del suo ricevimento), infatti il richiamo al D.lgs 50/92 contenuto all’art. 11
del D.P.R. 513/97, va interpretato nel
senso che le relative disposizioni
sulla clausola di recesso si applicano ai contratti telematici previsti nel decreto legislativo e sono:
·
Contratti
tra un operatore commerciale ed un consumatore , riguardanti la fornitura di
beni e servizi o la prestazione di servizi;
·
Applicabili
durante la visita dell’operatore commerciale al domicilio del consumatore
ovvero sul posto di lavoro;
·
Durante
una escursione organizzata dall’operatore commerciale al di fuori dei propri
locali.
Le disposizione del decreto si
applicano anche ai contratti riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi, negoziati fuori
dei locali commerciali sulla base di offerte effettuate al pubblico tramite il
mezzo televisivo o altri mezzi audiovisivi e finalizzate ad una diretta stipulazione del contratto
stesso, nonché ai contratti conclusi mediante l’uso di strumenti informatici o
telematici.
Anche per questo tipo di contratti è prevista la
responsabilità civile ex art. 2043 c.c. per il soggetto che utilizza un sistema
di chiavi asimmetriche il quale ometta tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitare danno agli altri, pensiamo
a chi permette l’uso della propria chiave ad altri senza un adeguato controllo,
oppure a chi ometta intenzionalmente di informare il depositario della chiave
pubblica della perdita del possesso della chiave privata.
La responsabilità, ex art. 2043 c.c. è possibile
quindi anche applicarla a chi compie ed utilizza il binomio firma digitale
telelavoro, oltre che per ragioni gravi utilizzare le norme disciplinari riguardanti il cattivo utilizzo del sistema in
questione.
Poiché se un telelavoratore si fa carico di
adoperare la firma digitale per
sottoscrivere la propria prestazione e non assolve alla regole dettate
in materia, il mancato esatto adempimento formale e sostanziale potrebbe
portarlo anche ad un epilogo grave come
quello previsto dall’art. 2219 c.c. licenziamento per giusta causa o per
giustificato motivo ove il motivo sia un effettivo grave inadempimento
contrattuale.
La responsabilità è prevista anche per il
depositario della chiave pubblica, il quale può omettere o ritardare la
pubblicazione della revoca o della sospensione della coppia di chiavi
asimmetriche richiesta dall’avente
diritto, l’art. 13 del regolamento fa riferimento per la corrispondenza telematica
ai principi di inviolabilità e
segretezza previsti dall’art. 15 della Costituzione.
L’art. 13 prevede la non possibilità di divulgare la
conoscenza della corrispondenza per via telematica degli atti.
L’art. 12 del D.P.R. 513/97, stabilisce, invece, che
in materia di trasmissione del documento informatico per via telematica
equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla
legge, perciò la notifica telematica è ammessa quando la legge preveda la
notifica postale ai sensi dell’art. 149 c.p.c., il quale stabilisce che se la
notifica deve essere eseguita
nell’ambito del comune, in cui ha sede l’ufficio delle notifiche, l’ufficiale
giudiziario può avvalersi del servizio postale, a meno che il giudice o la parte disponga che la notifica debba
essere eseguita personalmente.
Però se la notifica deve essere eseguita fuori dal
comune l’ufficiale giudiziario deve avvalersi del servizio postale sempre a
meno che la parte non richieda la notifica
personalmente.
La notifica si considera perfezionata al momento
della consegna del plico quale risulta dalla data indicata nell’avviso di ricevimento , oppure dal timbro, come si
può notare la notificazione a mezzo del
servizio postale soddisfa una esigenza di celerità e di rapidità visto che è
sempre un atto dell’ufficiale giudiziario ma ancora ed è forse questo l’aspetto
più importante per permettere una notificazione elettronica e quindi ancora più
certa e veloce poiché la legge ammette
sì la notifica telematica nei casi
previsti per la notifica postale ma non è previsto il contrario cioè stabilire se la notifica telematica equivalga a notifica postale.
Occorre infatti determinare quali sono i mezzi per
assicurare al mittente la prova
dell’avvenuta notifica, proprio in riferimento alle notifiche degli atti
giudiziari per via telematica.
7.- La
comparazione tra i disegni di legge per il settore pubblico e per quello privato.
La proposta di legge n. 2740 del 14 ottobre 1996 definisce
all’art. 1 il telelavoro qualificandolo come ogni forma di lavoro svolto per
conto di un imprenditore (aspetto di subordinazione) da un lavoratore
dipendente o da un lavoratore autonomo oppure a domicilio, dove la prestazione
sia effettuata regolarmente utilizzando
tecnologie e locali decentrati rispetto
all’azienda.
In questa definizione quindi, troviamo tutti i
parametri fin qui discussi, per permettere una vera attuazione di questa
tipologia di lavoro, al di là delle varie qualifiche date al prestatore, il
concetto di durata della prestazione è essenziale, soprattutto a livello di
continuità, quindi dovrà almeno essere prestata per un periodo che va da 12
mesi in poi, poiché la COSTEL commissione
per lo sviluppo del telelavoro, prevede per questo disegno di legge
sperimentazioni controllate triennali con investimenti cospicui, perciò anche
se non è determinato il quantum, certo è che per definire un telelavoratore
occorrerà parlare d i una prestazione
almeno annuale se non di più.
Il D.L. n. 2305 del 3 aprile 1997 all’articolo 7
definisce il telelavoratore come il lavoratore che effettua la propria prestazione con l’ausilio di
strumenti informatici, prevalentemente in locali esterni all’azienda, i quali
devono essere esclusivamente destinati
a tale scopo.
Perciò qui troviamo un vincolo di determinazione
logistica, in quanto sarà telelavoratore colui che presta lavoro si con mezzi
informatici, ma in luoghi designati per tale scopo, quindi dovranno avere la denominazione di locali adibiti solo al
telelavoro, altrimenti sembrerebbe difettare
la qualificazione e quindi la possibilità di efficacia contrattuale del
lavoro.
8.- Il
telelavoro e la Bassanini ter.
Con l’art. 4 della legge Bassanini ter (Legge
n. 191, del 3 giugno 1998) finalmente è stata prevista l’introduzione del telelavoro
nelle pubbliche amministrazioni, questo forse è stato anche dato dal fatto che
in Italia paese dalle mille contraddizioni, i telelavoratori siano triplicati,
nel 1994 erano circa 97000 ora si è arrivati a circa 250000.
Il Protocollo d’intesa sul lavoro pubblico, firmato il 12 marzo 1997, prevedeva
una sperimentazione di forme di
telelavoro nella pubblica
amministrazione.
Infatti insieme al part-time, insieme ai contratti
di formazione e lavoro, nella pubblica amministrazione si è cercato di utilizzare questa specificità
lavorativa.
I sistemi ICT ( Information and comunications
technologies ) sono un oscuro oggetto del desiderio delle e nelle pubbliche
amministrazioni (3).
Sono entrati grazie a leggi fondamentali di riforma
come la legge 59/97 e la legge 191/98 destinate a semplificare l’attività e la
struttura amministrativa.
La correlazione per ottenere l’innovazione
tecnologica del settore pubblico è quindi dato da una sommatoria non di valenza
matematica delle suddette norme, non dimenticando il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70
sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni ( norma definitiva per la
disciplina).
L’art. 4, della legge 191/98 prevede che le
pubbliche amministrazioni possono
avvalersi di forme di lavoro a
distanza, in particolare possono
installare apparecchiature informatiche
e collegamenti telefonici e
telematici necessari ai lavoratori per effettuare a parità di
salario la prestazione lavorativa in
luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la
verifica dell’adempimento della
attività lavorativa.
Lo scopo di questa legge quindi è quello di
razionalizzare l’organizzazione lavorativa
e la realizzazione d’economia di gestione, attraverso l’impiego flessibile
del dipendente.
La contrattazione collettiva dovrà adeguare la
disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro per i lavoratori impiegati a livello remoto.
Il D.P.R., 8 marzo 1999, n.70, enuncia in nove articoli la possibilità di applicare il telelavoro nella pubblica amministrazione. La fonte normativa presa come principio è la legge del 16 giugno 1998 n. 191, il cui art. 4, comma III, disciplina il telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, danno la risposta certa all’utilizzazione di questa disciplina.
L’art. 1, fissa il principio della razionalizzazione dell’organizzazione lavorativa attraverso una economia di gestione tramite l’impiego flessibile delle risorse umane, con riferimento al decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, dove è prevista la possibilità di avvalersi di forme di lavoro a distanza e come del resto previsto dall’art. della legge 4191/98.
L’art. 2 definizione: per lavoro a distanza si intende la prestazione
di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche del
Decreto 29/93, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato fuori della sede
di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il
prevalente supporto di tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con
l’amministrazione.
Per sede di lavoro si intende quella dell’ufficio al quale il dipendente è
assegnato.
L’art. 3 Progetti di telelavoro: l’organo di governo di ciascuna
amministrazione, sulla base dei responsabili degli uffici dirigenziali generali
o equiparati, fissa gli obiettivi,
individuando il target da raggiungere mediante il telelavoro, il ricorso a
questo tipo di lavoro dovrà avvenire sulla base di un progetto generale
in cui sono indicati gli obiettivi, le attività interessate, le tecnologie
utilizzate, i sistemi di supporto, le
tipologie professionali da impiegare, i
tempi e le modalità di realizzazione, i criteri di verifica e di aggiornamento, le modificazioni
necessarie nonché i costi ed i benefici
diretti ed indiretti.
Nell’ambito del progetto, le amministrazioni pubbliche definiscono le modalità per razionalizzare e semplificare l’attività, i procedimenti amministrativi e procedure informatiche, con l’obiettivo di migliorare l’organizzazione del lavoro l’economicità e qualità del servizio, considerando le norme sull’organizzazione, tecnologie e risorse umane .
Il progetto definisce la tipologia, la durata, le
metodologie didattiche, le risorse finanziarie
degli interventi di formazione e
di aggiornamento, anche al fine di sviluppare
competenze atte ad assicurare capacità di soluzione ed adattamento alle
mutate condizioni organizzative, tecnologiche e di processo.
Il progetto è approvato dal dirigente, o dal
responsabile dell’ufficio, o servizio, nel cui ambito si intendono avviare le
forme di telelavoro, d’intesa con il responsabile dei sistemi informatici, ove
presente. Quando sono interessate più strutture il progetto è approvato dal
responsabile dell’ufficio dirigenziale
generale o equiparato.
Il progetto può prevedere che il dirigente eserciti
le sue funzioni svolgendo parte della
propria attività in telelavoro.
Le amministrazioni pubbliche mediante accordi
possono concordare forme di collaborazione volte alla comune utilizzazione di locali, infrastrutture e risorse.
Le forme di telelavoro di cui al presente decreto
possono essere programmate organizzate
e gestite anche con soggetti terzi nel
rispetto dei criteri generali di
uniformità, garanzia e trasparenza.
L’art. 4 Assegnazione al telelavoro e reintegrazione nella sede originaria:
l’amministrazione assegna il dipendente
al telelavoro, sulla base di criteri previsti per la contrattazione
collettiva, che fra l’altro, consentano di valorizzare i benefici sociali e personali del
telelavoro.
La prestazione di telelavoro può effettuarsi nel
domicilio del dipendente a condizione che sia disponibile un ambiente di lavoro di cui l’amministrazione abbia
preventivamente verificato la conformità alle norme generali, di prevenzione e
sicurezza delle utenze domestiche con riferimento alla legge 626.
Il dipendente, addetto al
telelavoro, può chiedere per iscritto all’amministrazione di appartenenza di
essere reintegrato nella sede di lavoro
originaria non prima che sia trascorso
un congruo periodo di tempo fissato dal progetto di cui all’articolo 3 del
presente decreto.
L’art. 5 Postazione di telelavoro: la postazione è il sistema tecnologico
da cui un insieme di apparecchiature e di programmi informatici, consentono lo
svolgimento di telelavoro.
La postazione deve essere messa a disposizione, installata e collaudata a cura e spese dell’amministrazione interessata, sulla quale gravano manutenzione e la gestione di sistemi di supporto per il dipendente ed i relativi costi .
I collegamenti sono a spese dell’amministrazione,
questa deve inoltre garantire i livelli di sicurezza delle comunicazioni tra la
postazione di telelavoro ed il proprio sistema informativo.
Nell’ambito del progetto le pubbliche
amministrazioni definiscono le modalità per poter essere in grado di assicurare
le comunicazioni e il contesto organizzativo.
Art 6 Regole tecniche l’autorità per l’informatica nella pubblica
amministrazione fissa le eventuali regole tecniche per il telelavoro,
anche con riferimento alla rete unitaria delle pubbliche amministrazioni, alle
tecnologie, l’identificazione, alle esigenze di adeguamento all’evoluzione
scientifica e tecnologica e alla tutela della riservatezza dei dati.
L’art 7.Verifica dell’adempimento della prestazione: il progetto elaborato
dalla stessa dirigenza determina i
criteri qualitativi orientati ai risultati delle prestazioni da svolgere
mediante telelavoro, la verifica dell’attività
della prestazione è effettuato dal dirigente.
L’art. 8 Trattamento economico e normativo la contrattazione collettiva: in
relazione alle diverse forme di telelavoro, adegua alle specifiche modalità
della prestazione, la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro,
garantendo in ogni caso un trattamento economico equivalente a quello dei dipendenti impiegati nella sede di
lavoro e in particolare una adeguata tutela della salute e dalla sicurezza del
lavoro.
La contrattazione collettiva, definisce le modalità
per l’accesso al domicilio del dipendente addetto al telelavoro dei soggetti
aventi competenza in materia di salute, sicurezza e manutenzione.
Nel comparto della pubblica amministrazione il telelavoro trova sicuramente una lenta diffusione, dovuta all’aspetto normativo ad esso applicabile, ma anche le questioni riguardanti l’aspetto dell’informatizzazione della pubblica amministrazione certo non la agevola (4), infatti lo sviluppo dell’uso del computer per svolgere l’attività lavorativa all’interno del settore pubblico è cosa che si è sviluppata in questi ultimi 10 anni.
Vittorio Frosini pubblicava una importante
riflessione su “ Cibernetica, diritto e società” (5), dichiarando che il
legislatore italiano, si limitava ad imporre la redazione a stampa o con
scrittura a mano o con macchina da scrivere
degli atti pubblici, fra questi
anche leggi e decreti nonché atti ricevuti da notai (art. 12, comma I,
della legge 4 gennaio 1968, n. 12), riflettiamo che ci sono voluti più di 20
anni prima, che fosse riconosciuta natura di documento amministrativo ad ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque
altra specie del contenuto di atti, formati dalla pubblica amministrazione o
comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa articolo 22, comma II,
della legge 7 agosto 1990, n. 241.
L’arretratezza del sistema burocratico italiano nel
settore dell’informatica era talmente concreto che con il D.Lgs 12 febbraio
1993, n. 39 è stata istituita l’Autorità per l’Informatica nella Pubblica
Amministrazione, la quale di recente ha stilato il regolamento sul telelavoro nella pubblica amministrazione,
il quale definisce le modalità di
impiego di questa nuova forma di
lavoro.
La disciplina è nata dall’Accordo per il lavoro,
stipulato dalle parti sociali il 24 settembre 1996, dove si premeva sul concetto
della Società dell’informazione, infatti il Governo si impegnava a diffondere
la cultura dell’informatica e a
promuovere l’utilizzo nei vari settori
il lavoro a distanza.
Con la legge 16 giugno 1998 n. 191 recante le modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997 n.
59 e legge 15 maggio 1997, n. 127 (c.d. legge Bassanini bis), nonché norme in
materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 20
giugno 1998, Serie Generale, stabilisce con l’art. 4 della legge 191/98 la razionalizzazione dell’organizzazione del
lavoro, al fine di realizzare una economia di gestione, attraverso l’utilizzo di impiego flessibile delle risorse umane. Le amministrazioni
pubbliche, di cui all'art. 1, comma II, del D.Lgs 3 febbraio 1993, n. 29
possono avvalersi di forme di lavoro a
distanza.
Sono le stesse amministrazioni che possono
installare, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti
telefonici e telematici per permettere
l’utilizzo di questo tipo di lavoro.
Il salario è lo stesso rispetto ai dipendenti che
lavorano all’interno dell’azienda, per l'attuazione delle modalità lavorative.
10.- L’art. 4
della legge 191/98 ed il telelavoro.
L’art. 4 della legge 191/98, rappresenta, quindi,
una norma di programma, anche se all’interno di essa esistono aspetti immediatamente
attuabili .
L’ambito di applicazione della disciplina è
riservato alle pubbliche amministrazioni e tali sono quelle che rispondono ai
sensi dell’art. 1, comma II, del D.Lgs n. 29/93, tutte le amministrazioni dello
stato compresi gli istituti. le scuole di ogni
ordine e grado le istituzione educative le aziende e le amministrazioni
dello stato ad ordinamento autonomo, le
Regioni, Provincie, Comuni, Comunità Montane e consorzi con annesse
associazioni, istituti case popolari, Università etc..
Una questione importante che viene affrontata all’interno del regolamento del novembre
1998 riguarda la qualificazione del
telelavoro, rifacendosi a quanto stabilito nei contratti collettivi stipulati
nella prassi lavorativa italiana, si
stabilisce che l’assegnazione del pubblico dipendente al telelavoro non comporterebbe l’instaurazione di un nuovo rapporto
lavorativo, ma cambierebbe soltanto l’aspetto organizzativo dimensionale della
prestazione già eseguita.
11.- Il D.p.r.
8 marzo 1999, n. 70 ed il telelavoro.
Il Regolamento definisce che il telelavoro è riconducibile ad una prestazione
eseguita dal dipendente in luogo
diverso dalla sede di lavoro, con il prevalente supporto di tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con
l’amministrazione cui la prestazione stessa si inserisce; intendendo per sede
di lavoro quella dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato e per luogo diverso dalla sede di lavoro, qualsiasi
posto, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia
tecnicamente possibile.
La definizione descritta, non ha valenza qualificatoria di un tipo normativo unitario, ma serve soltanto
a stabilire i limiti, entro i quali, una prestazione lavorativa può essere
intesa come teleprestazione, quindi
eseguibile sotto forma di telelavoro.
Il regolamento individua una fase di pianificazione
, con l’individuazione di aree d’intervento come di possibili applicazioni
pratiche del fenomeno del telelavoro.
Si stabilisce che, attraverso un fine annuale prefissato, l’organo di governo di
ciascuna amministrazione, sulla base delle proposte dei dirigenti, individua gli obiettivi da raggiungere, questo è
possibile mediante lo studio e la concreta attuazione di un progetto che è predisposto dal dirigente o
dal responsabile dell’ufficio dove dovrebbe avviarsi la pratica del telelavoro.
Nel progetto vengono indicati: obiettivi, attività
interessate, tecnologie, tempi, modalità di realizzazione, organizzazione e criteri
di verifica in base all’art. 22, comma XV, della legge 23 dicembre 1994, n.
724, verifica e collegamento del dirigente con il telelavoratore,
qualificazione degli standard minimi di sicurezza e di prestazione per svolgere
il telelavoro.
Il progetto deve essere di pertinenza
dell’amministrazione interessata, ma
occorre anche far partecipare i sindacati in base all’art 10, del D.Lgs. 3
febbraio 1993, n. 29, come modificato dallo art. 6, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
Il regolamento stabilisce che l’amministrazione
assegna il dipendente al telelavoro , tenendo conto dei criteri previsti dalla
contrattazione collettiva, però dovranno essere prese in considerazione, in
particolare nelle ipotesi di telelavoro domiciliare, situazioni di disabilità
psicofisiche, esigenze di cura nei confronti dei familiari o conviventi, tempo
medio di percorrenza dalla residenza del dipendente alla sede di lavoro.
Il regolamento prevede che colui che sceglie di
telelavorare non deve essere pregiudicato da
aspettative di migliorare la sua qualifica all’interno del comparto
lavorativo.
Il dipendente con sua richiesta motivata e dopo che
sia passato un congruo tempo minimo potrà richiedere di essere reinserito, o
inserito, all’interno della sede lavorativa della pubblica amministrazione ed
il termine prefissato potrà essere
derogato solo per cause gravi.
L’amministrazione entro 30 giorni dalla richiesta, deve disporre
la reintegrazione del dipendente nella sede di lavoro originaria, in caso
contrario dispone l’assegnazione per il dipendente ad una mansione equivalente, anche presso un altro ufficio purché
non ci sia un trattamento in peius rispetto a quello stabilito oppure ad
un'altra forma di telelavoro.
La richiesta di reintegrazione nella sede originaria sembra essere soggetta a molti vincoli, infatti l’art. 4, comma II, della legge 191/98 stabilisce che, i dipendenti possono essere reintegrati, a richiesta, nella sede di lavoro originaria, il successivo comma III, disciplinando la delega attuativa dei principi indicati al comma I, non richiama l’istituto della reintegrazione, perciò i vincoli sanciti dal regolamento su questo aspetto potrebbero essere non validi, in quanto eccedono la delega conferita dalla norma primaria.
Riguardo alla prestazione eseguita nel domicilio del
lavoratore, aspetto interessante è quello che occorre il previo consenso
scritto dell’interessato, a condizione che l’ambiente domestico sia confacente
alle norme generali di prevenzione e
sicurezza, previste dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, ma quello che
colpisce, è che l’amministrazione si assume l’onere di apportare all’unità
immobiliare le modifiche che si rendano necessarie in ragione del tipo di
lavoro svolto, tuttavia alla scadenza del periodo di effettuazione della
teleprestazione domiciliare, la stessa
amministrazione si fa carico anzi ha l’obbligo di riportare i locali nello stato originario.
Questo aspetto, se da un lato premia
l’interessamento dell’organizzazione lavorativa per la promozione del
telelavoro, dall’altro, si precisa che le modifiche apportate dovranno
certamente non causare danni a terzi soggetti coinquilini, quindi non si deve
cambiare la fisionomia delle stanze, poiché causano problemi di individuazione e qualificazione logistica del sito.
Il regolamento per la pubblica amministrazione,
concludendo, demanda sempre alla contrattazione collettiva la disciplina particolareggiata per la modalità lavorativa, che più volte,
abbiamo detto, essere in continua evoluzione , la migliore flessibilità e
funzionalizzazione di queste tipologie di lavoro è possibile solamente se le
norme contenute nel D.Lgs 29/93, siano
interpretate ai fini di una organizzazione e di una gestione che realmente vuole
telelavorare.
Quello che sembra oggi si possa effettivamente dire,
aldilà delle varie argomentazione tra il settore pubblico e quello privato, è
che se un futuro concreto debba realmente esistere per questa tipologia di
lavoro, sicuramente l’apparato pubblico potrebbe essere il vero trampolino,
innanzitutto perché le risorse economiche per affrontare l’impatto logistico
sono più facilmente trovabili e poi perché esiste realmente il decreto 70/99
che da attuazione e regolamentazione al telelavoro.
Il regolamento, infatti,subordina l’avvio del
telelavoro, alla redazione di un progetto, nel quale devono essere indicati sia
gli obiettivi, che le tecnologie utilizzate, il numero dei dipendenti, ed i tempi
di realizzazione.
Perciò il D.P.R. 70/99 ha come suo motore, il
progetto che deve contenere le strategie innovatrici che la amministrazione è
in grado di poter utilizzare, la teleprestazione è l’effetto della volontà
dell’ente, oltre che la causa per raggiungere quel determinato scopo fissato
precedentemente.
L’obiettivo dell’amministrazione potrà essere
raggiunto attraverso le proposte approvate nell’atto di indirizzo annuale, il
dirigente colui che elabora ed approva sarà il responsabile dell’attività del proprio ufficio e del
proprio personale che lavora a distanza.
Il progetto secondo quanto disposto dal D.P.R. 70/99
deve trattare congiuntamente norme, organizzazione, tecnologie, risorse umane e
finanziarie, esso è assolutamente facoltativo, non per questo lo devono essere
gli obiettivi che ciascun amministratore deve tenere presenti nell’impostazione
della propria attività.
Il progetto costituirà una egregia opportunità per
migliorare l’organizzazione amministrativa semplificandola con l’interventi
appunto di attività telelavorabili.
Il D.P.R. 70/99 non ha certamente individuato
attività telelavorabili, in quanto la loro formazione non ha bisogno della contestuale
presenza di persone e mezzi nello
stesso luogo (6), infatti esistono
prestazioni di tipo elementare che non presentano di differenze rispetto allo
svolgimento in sede, oltre che possono essere gestite autonomamente,con l’aiuto
di sistemi informatici; pensiamo ad esempio alla firma digitale, che può essere
apposta anche nel domicilio del dirigente.
Importante è sottolineare in base all’art. 7, del
D.P.R. 8 marzo 1999, la verifica dell’adempimento, la quale necessità
all’interno del progetto il risultato
che il dipendente è tenuto a raggiungere attraverso la prestazione (si
afferma finalmente la tanto sperata concezione del risultato lavorativo ai fini
retributivi, abbandonando la regola
della retribuzione dovuta); nel telelavoro il dirigente non ha un controllo diretto, perché se la
prestazione è svolta a distanza occorre la necessità assoluta di definire i
risultati della teleprestazione, la mancanza di una indicazione sui
risultati attesi svuota di significato
concreto qualsiasi forma di controllo a distanza (7).
Fissare i parametri della prestazione non è certo
cosa agevole, in quanto codesti vanno definiti non solo per quelle situazioni
oggetto di telelavoro, ma per tutte
quelle collegate direttamente od indirettamente collegate ad esse.
Quindi la valutabilità della prestazione deve essere
scomposta in due grandi tronconi, poiché all’interno della pubblica amministrazione
esistono alcuni lavoratori che espletano
la loro mansioni fuori della sede di lavoro, pensiamo agli ispettori del lavoro,
i quali sono presenti in ufficio all’inizio ed alla fine della settimana, proprio in questo caso i
controlli sulla prestazione devono
rispondere secondo i criteri di
valorizzazione del risultati, incentrati sulla programmazione settimanale o mensile.
Questo esempio è comunque configurabile in una forma
di lavoro a distanza (senza collegamento): il telelavoro permette un costante
controllo (on line) poiché è possibile interagire in qualsiasi momento.
Il dipendente sarà in grado espletare la sua
teleprestazione in modo sicuro e proficuo (in base al D.P.R. 70/99 a condizione
che vengano rispettati i parametri suddetti), ma è possibile una teleprestazione
del dirigente?
Il dirigente non è legato ad un orario, ma al
raggiungimento di un risultato, assegnato da un obiettivo presunto nel suo contratto,
quindi potrà svolgere la sua attività fuori che dentro la sede, quindi ha una
estensione concreta di prestazione lavorativa
oltre che di controllo, ma all’interno del D.P.R. 70/99, nell’art. 3,
comma VI, si pone una cautela o restrizione, in quanto è scritto che deve
trattarsi di parte dell’attività.
Il dirigente allora dovrà essere presente per il
raggiungimento dell’obiettivo nella sede centrale, la sua attività infatti è il
combinato disposto tra l’art. 4, comma IV, dell’accordo quadro del 1998 che
prevede per il dirigente la possibilità della teleprestazione e l’art. 3, comma
VI, del D.P.R. 70/99, che implica ai fini degli obiettivi perseguibili una
limitazione della mansione telelavorabili.
Un nodo importante è quello previsto nell’art. 5,
comma II, 2 dell’accordo quadrodel 1998, dove si dichiara che l’amministrazione
si fa carico delle spese relative al mantenimento della sicurezza , ai sensi
dell’art. 6 del D.P.R. 70/99, l’autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione
fissa le eventuali regole tecniche per il telelavoro, anche con riferimento
alla rete unitaria della pubblica amministrazione, alla tecnologia per
l’identificazione, alle esigenze di adeguamento all’evoluzione scientifica e
tecnologica ed alla tutela della sicurezza
dei atti.
L’art. 6 del D.P.R. 70/99 affida l’elaborazione di
regola tecniche direttamente all’AIPA, quindi occorre un obbligo
dell’amministrazione di garantire livelli di sicurezza delle comunicazioni tra
la postazione di telelavoro ed il proprio sistema informativo.
L’autorità con la competenza tecnica, valuterà la
necessità e l’opportunità di un intervento alla rete unitaria della pubblica
amministrazione per rispondere alle esigenze tecnologiche e per
l’indentificazione della tutela della sicurezza dei dati (8).
L’art. 6 del D.P.R. 70/99 infatti, demanda all’Aipa
la predisposizione di regole per
contrastare i pericoli anti intrusione, infatti vigendo il principio della
personalità della prestazione da cui deriva anche per il lavoratore di mettere in comune la postazione di telelavoro con altri colleghi
o con i familiari o l’obbligo del dipendente di garantire la più assoluta riservatezza dei dati e sul sistema informativo
dell' amministrazione.
Il principio della personalità della prestazione
costituisce espressione di infungibilità e l’obbligo della riservatezza si presenta
un’applicazione peculiare del più generale obbligo di fedeltà sancito
dall’articolo 2105 c.c. (divieto di divulgazione di notizie attinenti
all’organizzazione ai metodi di produzione all’interno dell’azienda).
Sarà prerogativa dell’amministrazione individuare
misure di sicurezza adeguate, per l’accesso all’elaboratore elettronico, solo
in possesso di un badge personale, o all’identificazione vocale, o di una
impronta digitale, oppure l’uso classico di password.
La legge 31 dicembre 1996, n. 675 (c.d. legge sulla
privacy), enuclea il principio che le informazioni trattate dal telelavoratore
(e per trattamento, ai sensi dell’art. 1, comma II, lettera b), s’intende
qualunque operazione svolta con l’ausilio di mezzi elettronici o automatizzati
concernenti la raccolta, conservazione, registrazione di dati); possono essere
qualificati come dati personali purché relativi a persone fisiche, giuridiche,
enti, etc.; di controllare i dati in questione con l’adozione di cautele di
sicurezza.
Queste
misure minime di sicurezza sono state individuate con il decreto del
D.P.R. 28 luglio 99, n. 318, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 settembre
1999.
Il decreto all’art. 1 con riferimento all’art. 15
della legge del 31 dicembre 1993, n. 675, dichiara che le misure minime sono il
complesso di misure tecniche informatiche che configurano il livello minimo di
protezione richiesto, attraverso strumenti che possono realizzare questo
(pensiamo alla trasmissione delle chiavi elettroniche a 1024 bit); occorre
anche un amministratore di sistema deve in sovrintendere alle risorse del sistema
operativo (9).
Per il trattamento dei dati personali in base
all’art. 2 del decreto 318/99, divide elaboratori accessibili da chiunque o
solo dai dipendenti, questa
diversificazione deve essere dichiarata anteriormente alla fase di trattamento.
Prevedere una parola chiave per l’accesso ai dati,
valevole solo per quella fase e per quella macchina è cosa giusta, oltre che
individuare per iscritto, quando vi è
più di un incaricato del trattamento e sono in uso più chiavi i soggetti
preposti alla loro custodia.
L’art. 4 del decreto 318/99 enuclea cosa si deve intendere per codici
identificativi e protezione degli elaboratori.
A ciascun utente deve esser attribuito un codice in
modo che in caso di perdita, questo possa essere disattivato, gli amministratori
del sistema invece hanno un loro codice personale di accesso al sistema da non condividere con nessun dipendente.
L’utilizzazione del codice di accesso durerà massimo
sei mesi.
L’intrusione negli elaboratori sarà tutelata con
idonei programmi antihackeraggio con aggiornamento semestrale.
L’art. 6 dispone con cadenza annuale un controllo
dell’analisi dei rischi di intrusione e
di responsabilità delle varie strutture che elaborano e trattano i dati personali.
I documenti conservati ed archiviati a norma
dell’art. 9 possono essere consultati, ma l’accesso deve essere controllato e
devono essere identificati e registrati i soggetti che vengono ammessi dopo
l’orario di chiusura sugli archivi stessi.
Per il telelavoratore in base all’art. 5, comma V,
del D.P.R. 70/99 occorre una postazione di telelavoro (prevista anche
nell’accordo all’art. 5, comma V), fornita di hardware e software, il quale deve
essere utilizzato solo ai fini lavorativi, sono inclusi nel divieto anche
l’utilizzo di e-mail nonché videogiochi.
Il comma VI, dell’art. 5 del regolamento, prevede
un’attività di concerto con i sindacati, l’amministrazione e del dipendente per
le modalità di comunicazione.
La predisposizione a tali regole, in base al
progetto art. 3 D.P.R. 70/99 è sottratta all’accordo dalle parti, ma è
esclusiva competenza della amministrazioni, resta il fatto che l’unico elemento
che permette la socializzazione è la connessione con l’ente rimane sempre la
posta elettronica.
L’importanza del progetto ai sensi dell’art. 7 del
D.P.R. 70/99 sta nello stabilire i criteri utili per l’individuazione degli standard
qualitativi e quantitativi della prestazione che deve offrire il telelavoro,
alla luce dei quali avverrà la verifica dell’adempimento da parte del
dirigente.
Il dirigente a questo punto raccoglierà i dati
attinenti alla teleprestazione li potrà utilizzare per esercitare il suo potere
datoriale, soprattutto con riferimento alla materia disciplinare.
Riferendosi all’art 7 dello Statuto dei Lavoratori
comma I, si pone un obbligo di pubblicità del codice disciplinare, il quale
deve essere portato a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo
accessibile a tutti.
Una lettera sistematica restrittiva della norma, mal
si concilierebbe con il telelavoro il quale, non potrà mai avare una sede fissa
di affissione, ecco perché se l’esercizio del potere datoriale rientra nella
tematica del modello disciplinare, per il telelavoro l’obbligo di pubblicità
del codice disciplinare previsto dallo statuto potrà avvenire solo per
comunicazione telematica.
12.- La
sospensione del rapporto di lavoro del telelavoratore.
Ultimo problema da inserire nel contesto
disciplinare riguarda, le contestazioni che il lavoratore voglia fare e che
debbono essere fatte in forma scritta, per il telelavoratore dovrà per forza di
cosa essere equipollente la comunicazione e telematica, considerando che l’art.
9 (norma finale del D.P.R. 70/99), tende a favorire lo sviluppo questa
disciplina, attraverso una rilettura estensiva degli strumenti normativi
esistenti, non contraria al principio di legalità e di efficacia della norma dettata.
Gli artt. 2110 e 2111 c.c. prevedono la sospensione del rapporto di lavoro, pensiamo al fatto che il prestatore di lavoro per
malattia non svolgerà la sua normale
prestazione lavorativa, ed il datore non erogherà la retribuzione, salvo il
trattamento previdenziale, questo oltre che per malattia si può verificare per
infortunio, o per espletare il servizio
militare.
Dagli articoli citati si denota una concreta tutela
del lavoratore, sempre se in regola, a livello contrattuale, ma per il datore
sorge il problema della impossibilità
di avvalersi della postazione dalla quale opera il telelavoratore assentandosi.
I casi menzionati dagli artt. 2110 e 2111 c.c. sono
naturalmente da considerare, sia di livello grave, ma anche lieve, pensiamo ad
una grave malattia generativa, ma anche ad un possibile raffreddore, oppure ad un infortunio di
piccola entità come può essere una contusione, ora l’impossibilità lavorativa
dipende da cause rilevanti, non solo dallo stato fisico ma anche dalla sua
impossibilità a raggiungere il posto di lavoro senza correre il rischio di
aggravare la sua salute (10).
Il telelavoro consente di superare tale impedimento,
perciò all’interno dei contratti dovrebbe essere specificato che lo stato
richiamato dai predetti articoli sia evidenziato,tenendo conto di una specificazione quantitativa della
impossibilità lavorativa, poiché c’è differenza tra colui che non può ad
esempio muovere le mani e colui, che si è fratturato una gamba, poiché il telelavoratore non deve
raggiungere il posto di lavoro in quanto il sito è casa propria.
Stessa cosa è per la malattia contagiosa, la quale
non provoca impossibilità alla prestazione lavorativa, ma generalmente si tende
a far stare a casa il soggetto per evitare il contagio con altri dipendenti
dell’azienda.
Gli artt. 2110 e 2111 c.c. sono cause che
rappresentano una deroga alla
sinallagmaticità del contratto di lavoro,
in quanto evidenziano degli interessi sicuramente superiori, come
quello della salute o della difesa nazionale, rispetto a quello di una
corrispettività lavorativa di natura
privatistica.
Ora è anche vero che tutti i contratti sinora
stipulati non qualificano tale aspetto in modo ben preciso, perciò il datore di
telelavoro sopporta un maggiore sacrificio, perché il telelavoratore, specialmente
quello a domicilio e quello che utilizza una chiave digitale, non può essere
certamente sostituito, per ragioni non
tanto di certificazione autografa digitale, in quanto sarebbe comunque possibile
sostituire quel soggetto
magari con un apposito programma che individui il cambiamento del
soggetto prestante, ma soprattutto
entra in gioco il principio della sicurezza
e della inviolabilità del domicilio, che se è possibile per rappresentanti sindacali, previa
autorizzazione, per colui che magari deve
sostare per qualche giorno la cosa è totalmente diversa.
Ed allora il datore nel caso in cui si verificasse
che una serie di telelavoratori impiegati per espletare un certo servizio, si
trovassero nelle condizioni commentate dovrebbe prevedere anche all’interno del
contratto la possibilità di poter trasferire il progetto lavorativo o nel
telecottage, se esiste,o nei luoghi di pertinenza dell’azienda.
Ragionando su questo aspetto potrebbe essere
studiato un accordo tra i maggiori sindacati e gli industriali per poter immettere, nei casi di sospensione
lavorativa medio tempore, dei
soggetti con le opportune qualifiche in stato di disoccupazione o impiegati in
lavori socialmente utili che solleverebbero il datore da una prolungato ed infruttuoso
risvolto produttivo.
Una
compagine qualificata lavorativa
in grado di poter colmare le lacune di
risultato date da una sospensione causata dagli artt. 2110 e 2111 c.c., che in
alcuni casi potrebbe protrarsi anche più del dovuto, potrebbe essere un minimo
traguardo della attuazione di contratti atipici, come quello di collaborazione
occasionale.
Nel campo dei licenziamenti l’accordo TELECOM rinvia al CCL del 30 giugno 1992 per i lavoratori
della SIP oggi (Telecom), il quale equipara
il rapporto di lavoro e la sua stabilità, richiamando per tutto la
disciplina anche dei licenziamenti.
La situazione dei telelavoratori si presta a
considerazioni che per forza debbono tenere
conto delle disposizioni contenute
nella legge 15 Luglio 1966, n. 604
e nell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
L’applicazione del limite di 60 dipendenti oltre il
quale ricorre la tutela reale del posto
di lavoro non pone nessun limite a livello interpretativo, in quanto la norma
fa riferimento ai lavoratori occupati
presso il datore di lavoro stesso di
quelli che si trovano in sito, perciò comporta la commutabilità del telelavoratori che sono inquadrabili
nella fattispecie dei lavoratori subordinati di cui all’art. 2094 c.c..
Al contrario la tutela reale al posto di lavoro,
sempre facendo riferimento al numero di lavoratori occupati nella stessa unità
produttiva, sarebbe facilmente eludibile se il telelavoratore fosse considerato come una unità produttiva a
se stante, riottenendo per favorire questo, determinante il luogo di esecuzione
della prestazione lavorativa.
Ma in base ad un orientamento oramai consolidato
della Corte di Cassazione (11) la nozione di unità produttiva, desumibile dagli
artt. 18 e 35 della legge 300/70 va individuata: “in quella consistente entità
aziendale che, seppure articolata in organismi minori, si caratterizza per
sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica ed
amministrativa, tali che in essa si
esaurisca per intero il ciclo relativo
ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale;
rimanendo così esclusi quei minori organismi che seppur dotati di una certa
autonomia, siano destinati a scopi meramente strumentali rispetto ai fini
produttivi dell’impresa”.
Il telelavoratore che opera on line, anche se
lavora come un microrganismo a se
stante, non può essere certo definito come una unità produttiva autonoma in quanto persegue scopi meramente
strumentali rispetto ai fini dell’impresa (12) e manca di una minima
possibilità di autodeterminazione nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
Perciò bisogna considerare il telelavoratore come
lavoratore esterno dell’unità produttiva,
la cui attività è riferibile e computabile ai fini del livello
occupazionale di tale unità (13) e
quindi i telelavoratori inquadrabili nella fattispecie disciplinata all’interno
del codice civile di cui trattasi sono
soggetti al regime di tutela reale del
posto di lavoro se l’unità produttiva è
di almeno 16 dipendenti.
(1)
M. D’Antona, Il Telelavoro nelle pubbliche amministrazioni,
Milano, 1999.
(2) La firma digitale, in PC
professionale, settembre 1998.
(3) T. Maldonado, Critica della ragione
informatica , Roma, 1997.
(4) A. Visconi, L’applicazione nelle
pubbliche amministrazioni, in Telelavoro
e diritto, a cura di Pascucci e
Gaeta, Torino, 1998.
(5) N.G. Losano, Stato e automazione,
Milano, 1974.
(6) A. Visconi, Il telelavoro e le
pubbliche amministrazioni , Milano, 1999.
(7) D. De Masi, Il telelavoro nella
società post-industriale, 1996.
(8) Di Cerbo, Il telelavoro nel pubblico
impiego, in Lavoro e previdenza, 1999.
(9) R. Romei, I controlli e la tutela
della privacy, in Telelavoro e diritto, a cura di Gaeta e Pascucci,
1998.
(10) Del
Punta, La sospensione del rapporto di lavoro, Milano ,1992.
(11) Cass., 22 novembre 1988, n. 6277; Cass.,
17 novembre 1993 numero, n.11354; Cass., 9 giugno 1993, n. 6413.
(12) Cass., 23 gennaio 1990, n. 394.
(13) Cass., 9 giugno 1993, n. 6413, in NGL,
1994, 110.