ESISTERA’ UN REGOLAMENTO PER IL TELELAVORO?
1.- Quale natura dovrebbe avere un buon contratto di telelavoro? 2.- Gli accordi stipulati in relazione ai disegni di legge presentati. 3.- Il disegno di legge n. AC 2305 come concreta risposta. 4.- L’art. 2094 c.c. come chiave di lettura del telelavoro? 5.- Conclusioni.
I precedenti capitoli sono serviti per rendere al lettore, una panoramica abbastanza almeno speriamo, esaustiva delle problematiche di questo tipo di lavoro, anche se ogni giorno nuove barriere si superano per tentare di rendere più concretamente possibile l’attuazione del lavoro a distanza.
La domanda di cui ancora non si è avuta risposta è
quella i come si può raggiungere una regolamentazione sul telelavoro, cioè è
indispensabile una legge o è preferibile attendere che le parti sociali
pervengano ad accordi, magari di tipo generale, sulla falsa riga dei code
of practice?
Il dibattito è, come detto prima, ancora in corso, e valide ragioni vengono portate dai sostenitori di ambedue le tesi. Ma se accettiamo il principio che una regolamentazione forte è bene che segua, risponda e sostenga la regolazione pattizia, sembra sconsigliabile, al momento, seguire la sola strada parlamentare.
2.- Gli
accordi stipulati in relazione ai disegni di legge presentati.
Negli accordi sinora stipulati, infatti, è
completamente assente la trattazione degli aspetti più critici a volte inquietanti
del telelavoro.
In nessun accordo, ad esempio, si è affrontato
l’aspetto del lavoro mobile per il personale di vendita una fattispecie assai
sviluppata in cui i rischi di super lavoro, con il dipendente
in continuo pendolarismo tra cliente, azienda e casa, sono concreti ed alimentati
dalla possibilità di incrementare o, in periodi di crisi almeno salvaguardare
il salario variabile.
Nessun accordo affronta sistematicamente la
questione dei lavori semplici, quelli di presidio telefonico che si svolgono
tipicamente nei call center, ove manodopera con bassi livelli
professionali e di inquadramento svolge compiti di routine, magari 24 ore su 24
per sette giorni alla settimana.
Un ulteriore aspetto, anch’esso mai affrontato
sebbene introdotto nel protocollo degli elettrici, è quello dei nuovi assunti
in telelavoro, qui si aprono problemi di tutela e di diritti minimi assai diversi
rispetto al caso sinora prevalente del lavoro standard a telelavoro.
Chi viene assunto a lavorare fuori della sede
tradizionale dell’azienda ha o meno il diritto di frequentare i locali
aziendali? Che possibilità ha di chiedere di terminare la sua esperienza
esterna senza correre il rischio di perdere il lavoro? Cosa avviene se,
quell’assunto anziché lavorare a casa sua
in una città italiana, risiede in una nazione lontana migliaia di
chilometri? La contrattazione sul telelavoro, sinora, non si è spinta a
regolare questi aspetti, se altro perché se ne è ancora presentata l’occasione,
una legge al contrario, non potrebbe esimersi dal regolamentare questa
fattispecie. Lo dovrebbe fare, pertanto, senza nessun supporto che viene dalla
pratica del mercato del lavoro.
Dovremo allora chiederci quali caratteristiche
dovrebbe avere un buon contratto, quali ambiti andrebbero indagati e quali soluzioni si potrebbero
adottare ?
Forse il miglior contratto addirittura potrebbe
essere quello che non c’è. Se prendiamo ad esempio il nord Europa, le
associazioni sindacali e datoriali con l’assistenza delle istituzioni
pubbliche, definiscono un code of practice intersettoriale,
applicabile a tutti i telelavoratori (1).
Un documento semplice, che indichi diritti e doveri
e soluzioni pratiche, una sorta di statuto del telelavoratori.
Partendo dal codice le rappresentanze di categoria
ed aziendali, avrebbero vita facile nel calare il telelavoro nelle loro realtà
concrete, stipulando accordi company-wide in cui si fissano obiettivi, tutele
specifiche e regole comuni e compensi, formazione, valutazione del lavoro. Il
vero e proprio accordo operativo dovrebbe quindi essere sancito a un livello
ancora più basso, grazie ad un protocollo ad esempio una nota di telelavoro
concordata e stipulata con ogni singolo telelavoratore. In questo documento
dovrebbero venire fissati gli aspetti cruciali e peculiari della prestazione:
quindi rientri in azienda, in quali giorni della settimana o del mese, in quale
modo distribuire il lavoro all’interno del gruppo, come misurare il
raggiungimento o meno degli obiettivi concordati.
Nel preparare un codice del telelavoro possibile
bisognerà partire dalle variabili aziendali, ma va mantenuta un’attenzione costante all’accettabilità
sociale delle regole che si fissano. Un buon punto di partenza potrebbe essere
la check list che segue:
1 il telelavoro deve essere realmente volontario (quindi
senza condizionamenti quali la mobilità territoriale o anche l’allettamento di
speciali gratifiche in caso di adesione);
2 al lavoratore che accetta la delocalizzazione deve essere
garantito lo status di dipendente;
3 deve essere possibile, per
entrambi le parti, l’interruzione con un ragionevole preavviso che dipenderà
dall’organizzazione tecnica del lavoro e della prestazione a distanza;
4 il lavoratore nell’ambito
dell’organizzazione dell’impresa deve poter
distribuire in maniera flessibile l’orario di telelavoro, senza retribuzione
aggiuntiva per festivi e notturni, fatti salvi periodi di reperibilità e le
presenze in azienda concordate;
5 il telelavoro non può
essere assoluto debbono essere quindi previsti dei rientri non episodici in azienda;
6 pari opportunità di
carriera per chi telelavora;
7 i carichi di lavoro e
turnazioni dovranno essere equamente ripartiti tra lavoratori in sede e
distanti
8 il telelavoratore non può
essere tenuto responsabile, se non in caso di colpa grave o dolo dei danneggiamenti
o furti del materiale aziendale, che costituisce il posto di lavoro remoto;
9 rispetto delle norme di
sicurezza;
10 l’azienda dovrà fornire
sistemi di non accesso alla rete telematica;
11 l’azienda deve assistere i
lavoratori nello svolgimento delle pratiche burocratiche eventualmente
richieste dalla delocalizzazione come la modifica della destinazione d’uso da
parte dell’appartamento, permessi della
ASL etc.;
12 garanzia alla
partecipazione ad assemblee che si tengono nel posto di lavoro considerato come
prestazione a tutti gli effetti sia del
tempo che quello dello spostamento.
Un code of practice potrebbe servire alla
valutazione degli obiettivi del lavoro remoto, permettendo lo studio di
garanzie e strategie lavorative, cercando di poter rendere stabile e concreta
la cultura aziendale nella società dell’informazione.
L’attenzione poi si è spostata grazie alle ultime
vicende sulla normativa per la firma digitale, da applicare ad ogni
trasmissione documentale, che grazie al supporto del D.P.R. 428/98 regolamento
del protocollo amministrativo con procedura informatica, consente a chiunque
lavori presso una pubblica amministrazione, ma potremo estendere
l’applicabilità anche al comparto privatistico, di archiviare con
protocollazione informatica un documento recante la firma digitale di colui che
lo ha sottoscritto.
A ben vedere abbiamo affermato che questo
sembrerebbe l’anello mancante per far decollare il telelavoro, ma in Italia
esistono aspetti diversi del telelavoro, perciò anche se fosse possibile
poterlo applicare, la sua qualificazione giuridica sembra prendere strade diverse, una per il settore pubblico e
l’altro per quello privato.
L’idea di fondo da modificare é quella di poter
affievolire l’inserimento continuativo del lavoratore nell’impresa con forme di
impiego che consentano una gestione flessibile
del rapporto di lavoro, acquisendo per forza nuove tipologie di figure
professionali cercando anche di poter
svincolare i soggetti dalla loro staticità lavorativa e di modello
contrattuale.
Ecco perché il legislatore sembrava aver subito
preso a cuore la questione, poiché si stava rendendo conto del mutamento socio
economico, introducendo nuove forme di lavoro flessibile, o per ampliare la flessibilità di quelli già esistenti con l’obiettivo di garantire al datore di
lavoro la possibilità di attenuare i
fattori di rigidità per l’impiego infatti emanò la Legge 24 giugno 1997, n.
196, recante norme per la promozione dell’occupazione.
3.- Il disegno
di legge n. AC 2305 come concreta risposta.
Ora è bene porre l’attenzione sulla tipologia
lessicale dei vari accordi che sono stati stipulati per poi esaminare il disegno n. AC 2305 e quello
sulla pubblica amministrazione appunto per vedere se esistono delle diversità concettuali .
L’accordo sindacale del 20 giugno 1997 per i
dipendenti delle aziende operanti nel
settore del terziario, della distribuzione e dei servizi premette che le parti concordano
nell’uso del telelavoro per la valorizzazione della prestazione
lavorativa, ma anche per una migliore valorizzazione dell’ambiente. Oltre che
permettere una integrazione ai soggetti più deboli, ma esordisce facendo
riferimento al concetto e all’uso del telelavoro come una mera modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa la quale può caratterizzare
sia lavoro subordinato che parasubordinato che autonoma.
L’art. 1 afferma che i rapporti del contratto
riguardano telelavoro dipendente, definendo il telelavoro come una variazione
delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le cui tradizionali
dimensioni di spazio e tempo, per via di apparecchiature informatico
elettroniche, risultano modificate.
L’accordo qualifica anche un concetto di postazione
di telelavoro, detta hoteling, che serve solo per coloro che espletano
mansioni telelavorabili in realtà esterne.
La sfera di applicazione del presente protocollo si
applica ai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia regolato dal CCNL per i dipendenti del terziario della distribuzione dei servizi e deve essere naturalmente compatibile con
esso.
L’accordo sindacale del 15 gennaio 1997 per i
dipendenti del ENPACL (ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti
del lavoro) inquadra il telelavoro come una semplice modifica del luogo di
adempimento delle prestazioni lavorative e non dei doveri del lavoratore senza
incidere sulla natura giuridica del
rapporto di lavoro in essere con l’Enpacl, che resta un lavoro a tutti gli effetti
contrattuali e di tipo dipendente
subordinato e regolato dal CCNL di categoria.
Il telelavoro non modifica l’attuale posizione
occupata dal lavoratore nella struttura organizzativa.
Il CCNL del 10 settembre 1996 per i dipendenti delle
aziende di telecomunicazioni rientranti nel gruppo STET riconosce al telelavoro
un innovativo istituto che configura nuove logiche spazio temporali di espletamento delle prestazioni
lavorative, non necessariamente correlate
in modo esclusivo alla presenza in servizio presso l’azienda.
Più specificatamente rappresenta una modificazione
del luogo di adempimento dell’obbligazione lavorativa realizzata secondo
modalità di telelavoro domiciliare, telelavoro working out oppure telelavoro a
distanza, dove l’attività lavorativa
viene prestata da remoto presso
centri logisticamente distanti dall’ente aziendale.
L’analisi degli accordi sindacali e dei contratti
collettivi italiani finora stipulati hanno regolato il telelavoro esterno (2),
non facendo riferimento a nessun tipo di stereotipo esistente ma adeguandosi
principalmente alle esigenze aziendali, anche se il telelavoratore viene sempre
o quasi visto come lavoratore
subordinato.
Altri accordi invece collocano direttamente la
disciplina del telelavoro nel lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c.,
infatti l’accordo sindacale del 1 agosto 1995 per i dipendenti della Telecom
Italia SPA, definiscono il telelavoro remotizzazione di unità organizzativa,
quindi l’istituto, altro non è che un
esercizio della responsabilità sull’attività produttiva di riferimento attraverso la remotizzazione
di una quota di servizio su una unità organizzativa fisicamente operante
all’esterno del territorio di competenza.
Il personale assegnato remotivamente è attribuito
gerarchicamente ed organizzativamente
all’unità madre.
Invece i lavoratori della D.B.K. vengono
inquadrati come lavoratori subordinati a domicilio, infatti
l’accordo dell’8 giugno 1995 inquadrano la
teleprestazione come attività
svolta a casa con sistema informatico dell’azienda, che decentra la prestazione in azienda
non essendo sottoponibile ad obbligo prestabilito di orario, ne ad un risultato prefissato rispetto all’orario giornaliero e alla prestazione
produttiva.
Quindi non essendo in grado di stabilire
staticamente questo tipo di prestazione, si rifanno, per la qualifica, della
teleprestazione alla dicitura dell’ufficio internazionale del lavoro, che la
definisce come una forma di lavoro effettuata in un luogo distante dagli uffici e che implica l’adozione di una
nuova tecnologia che permette la separazione e facilita la comunicazione tra le parti.
Gli accordi esaminati hanno come riferimento l’art.
2094 c.c., il quale definisce prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, cioè all’interno di essa;
invece tutti gli accordi italiani fanno
riferimento alla qualifica di
teleprestazione come ad una prestazione esterna dall’ambiente lavorativo.
Perciò dobbiamo per forza allargare il concetto dell’art. 2094 c.c. in questo
senso, si deve ritenere sempre un telelavoratore subordinato colui che espleta
una mansione lavorativa a distanza dall’azienda, ma connessa attraverso mezzi
informatici: il collegamento dettato dalla preposizione nella è dato dalla connessione telematica.
Però, dobbiamo considerare anche i lavoratori, che
prestano la loro attività all’interno della loro casa i quali non è detto che
debbano essere considerati lavoratori a domicilio, poiché è una condizione
naturale che il telelavoratore presti la sua attività all’interno della
propria abitazione, infatti dobbiamo
considerare lavoratore a casa comunque
colui che organizza l’attività
lavorativa all’interno della sua abitazione; nel telelavoro questo certo non
accade, infatti nell’accordo Telecom
esiste una clausola con la quale
le parti si danno atto che, il telelavoro
rappresenta una mera modifica del luogo di adempimento della prestazione
lavorativa non incidendo
sull’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale.
L’analisi fatta in questa parte, ha mostrato ancora,
una volta, il problema fondamentale della qualificazione giuridica del telelavoro;
tuttavia l’emanazione di una legge speciale ad hoc per questo tipo di
prestazione lavorativa certo non risolverebbe tutti i problemi incorsi, primo
perché il telelavoro è un fenomeno recente in cui non si hanno ben definiti i
modelli organizzativi, per cui una legge potrebbe anche essere incompleta,
secondo perché il telelavoro non può
essere qualificato e disciplinato come un fenomeno unitario, poichè si presta ad esser inquadrato in una
molteplicità di schemi contrattuali. Infatti, ricondurre il telelavoro alle
forme oggi esistenti a livello contrattuale, per la configurazione giuridica è
cosa facile e fatta da tutte le aziende che stanno impiegando telelavoratori,
in quanto poco si snatura, ma quello che forse occorre sottolineare è il tipo
di collegamento informatico o telematico che si intende impiegare.
Ad esempio sarà la tipologia di comunicazione che
intercorre tra il videoterminale esterno e il sistema informativo centrale, e
non il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, ad impedire che la teleprestazione possa essere ricondotta al lavoro subordinato in azienda di cui
all’art. 2094 del c.c.?
La normativa esistente è stata dettata facendo
riferimento a situazioni completamente diverse dal telelavoro, poichè essa può
essere opportunamente dettata a tale nuova forma lavorativa.
Certo lasciare alla libera volontà delle parti lo schema di contratto da scegliere sembrerebbe la strada migliore da percorrere, anche perché il terzo genere il c.d. lavoro coordinato non sembra calzare a pennello le problematiche del telelavoro, poiché si è ipotizzato, la creazione di un’area giuridica nella quale dovrebbero confluire indistintamente, oltre al telelavoro, un vasto altro ventaglio di lavoratori con mansioni e qualifiche molto diverse l’una dall’altra.
Comunque occorre riconoscere il merito a chi ha
inquadrato il lavoro coordinato per aver preso coscienza di una nuova strada
innovativa, che cerca concretamente di
superare la classica bipartizione del lavoro autonomo con quello subordinato,
oltre che verificando le garanzie legali e contrattuali connesse a quelle
tipologie di impiego. Una legge ad hoc che qualifichi il telelavoro come
una prestazione coordinata, inseribile nell’organizzazione imprenditoriale
aziendale, libera nella determinazione del tempo e delle modalità di esecuzione
della prestazione lavorativa, ed essenzialmente incentrata sul conseguimento
degli obiettivi, potrebbe essere una valida soluzione per quelle forme di
telelavoro flessibili, svolte da soggetti dotati di un’elevata professionalità
e liberi da direttive vincolanti e da obblighi di orario.
Ma dalla contrattazione collettiva in materia, i
telelavoratori sono spesso dotati di bassa professionalità , limitandosi a
svolgere attività esecutive che non si prestano ad essere considerati come obiettivi.
Invece di inserirli nel lavoro coordinato
potremmo ricondurli al lavoro subordinato
ai sensi dell’art. 2094 c.c. o dalla legge 877/73 sul lavoro a domicilio .
Pensiamo ad un soggetto che impiega un collegamento
di tipo on line e il lavoratore sia sottoposto alla continua ingerenza del
datore di lavoro, nell’esecuzione della
prestazione lavorativa, oltre che
vincolato ad un orario di lavoro e retribuito in base a quest’ultimo, il telelavoratore,
dobbiamo ricondurlo all’art. 2094 c.c., e quindi considerarlo a tutti gli
effetti lavoratore subordinato, o meglio telelavoratore subordinato.
Se prendiamo, ad esempio, altro schema legale o
venisse fuori una legge ad hoc, dobbiamo fare i conti con una sentenza
della corte costituzionale del 31 marzo
1994 n. 115, che ha individuato i limiti alla disponibilità del tipo di lavoro
subordinato.
La corte ha confermato un principio cardine
dell’ordinamento giuridico: la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro
è determinata oggettivamente, e non è mai rilevante di per se il titolo formale
che le parti abbiano voluto apporre.
Quindi secondo questa pronuncia neanche al legislatore sarebbe consentito derogare
a tale criterio, poichè questi non potrà
negare la qualificazione giuridica del
rapporto di lavoro subordinato a quelli che abbiano oggettivamente tale natura.
Ora potremo anche obiettare che un ragionamento del
genere è come un assioma indefettibile ed ineliminabile, in quanto se lo status
della subordinazione vada ricercato nei fatti con l’aiuto di parametri elastici
mutevoli secondo vari valori, si potrebbe pensare che, fatti del genere non
siano privi di valenza costituzionale, perché impedirebbero il potere del
legislatore ordinario, il quale non dovrebbe tenere in considerazione la
valutazione di un interesse generale, e concreto della società lavorativa,
oltre che uscire dal classico concetto della reale subordinazione.
Ora visto che l’art. 2094 c.c. è stato, comunque,
voluto pensando all’azienda come luogo di lavoro, sembra effettivamente molto
riduttivo pensare che solamente un intervento di rango costituzionale,
aprirebbe le strade alla nuova subordinazione, in quanto il legislatore
ordinario poco può fare, in quanto la libertà di spazio e di tempo oltre che gerarchica
con il telelavoro, è problema degli
anni ‘90 e non certo degli anni ‘40.
Ma i problemi esistono, anche riguardo alla
disciplina lavoristica applicabile; quella dettata per il lavoro prestato
all’interno dell’impresa, possa essere più o meno agevolmente adattata alle
particolarità del lavoro a distanza.
L’adattamento della normativa potrebbe avvenire lo
abbiamo già detto a livello contrattuale, anche se sarebbe meglio intervenire
sul concetto della teleprestazione.
Ad esempio, si potrebbe ipotizzare un intervento
legislativo della legge 300/70, adeguandola allo sviluppo tecnologico odierno,
al fine di preservare i telelavoratori, i quali sono costantemente guidati dal
software di base, da un potere direttivo e di controllo potenzialmente subdolo
e penetrante.
Tuttavia, per ricondurre questi lavoratori al tipo
legale dell’art. 2094 c.c. dovranno comunque esistere tutti quegli elementi che caratterizzano questa
tipologia, continuità, orario, retribuzione a tempo etc..
Certo la frustrazione sale, poiché il telelavoro
ha quanto mai grosse potenzialità di
sviluppo ma, per via della sua innata elasticità di prestazione, ed oggi più
che mai,occorrerebbe pensare veramente
al raggiungimento di obiettivi prefissati attraverso le direttive del
datore, facendo comunque leva sull’autonomia del telelavoratore e del suo operato.
Quindi la retribuzione dovrebbe essere corrisposta
in base al risultato pensando ad una aliquota fissa mensile più un incentivo al risultato raggiunto.
Tuttavia, disciplinando il rapporto di lavoro
secondo le modalità previste verrebbero a coesistere, nella fattispecie
concreta, elementi tipici del lavoro subordinato e del lavoro autonomo.
Non essendo infatti manifesto lo stato di subordinazione pieno, il datore
di lavoro facendo leva sulla presenza di alcuni elementi tipici del rapporto di
lavoro autonomo, potrebbe ricondurre a quest’ultimo schema contrattuale il
rapporto di telelavoro, allo scopo di eludere l’applicazione della disciplina
protettiva degli oneri sociali assistenziali e previdenziali del lavoro
subordinato.
Occorre uno sforzo innovativo da parte
dell’interprete, il quale deve procedere alla qualificazione della singola
fattispecie, a prescindere dalla qualificazione formale attribuita dalle parti
al rapporto, valutandone lo svolgimento concreto e la disciplina giuridica dei
singoli istituti in maniera più adeguata alla nuova forma lavorativa.
Quindi pensiamo, ad esempio, che il potere direttivo
da cui partiamo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro, nel quale
consiste la subordinazione, non deve
per forza concretarsi in una continua ingerenza dell’imprenditore sull’operato
del telelavoratore, ciò che deve invece rilevare è la continua esistenza di un obbligo giuridico di
obbedienza del telelavoratore, che attenga alla struttura dell’obbligazione e
non necessariamente al comportamento di fatto.
In questo modo potremmo non riconoscere lo stato di subordinazione piena, ma comunque il telelavoratore potrebbe essere sempre ritenuto, o meglio qualificato, subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., la cui formulazione astratta di lavoro reso alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, è idonea a ricomprendervi anche il nuovo modello sociale creato dal telelavoro. Al telelavoratore, sulla cui attività il datore può intervenire in qualsiasi momento, potrebbe comunque esistere la differenza che il prestatore sia libero di determinare il tempo della prestazione e venga retribuito secondo quanto raggiunto, quindi si potrebbe avere una non completa applicazione della subordinazione retributiva; in questo caso, invece, di essere garantisti al massimo nella prestazione subordinata, la tutela dovrebbe essere graduata corrispondente al livello di subordinazione e all’ingerenza del datore di lavoro nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
La disciplina legale e contrattuale avrebbe così
modulazioni diversificate a seconda che
la subordinazione tecnico - funzionale vada sempre più verso quella personale,
dove invece non esiste nessuna ingerenza
del datore nell’esecuzione del lavoro, che non sia limitata alla preventiva
determinazione delle
caratteristiche dell’opus
commissionato, il quale deve essere qualificato come autonomo.
I lavoratori invece che, stabilmente e
funzionalmente, sono collegati all’organizzazione produttiva dell’imprenditore,
non soggetti alle direttive di quest’ultimo, ma comunque debbono attenersi al rigoroso
rispetto del programma operativo predisposto dal committente, potranno essere inquadrati nel c.d. lavoro
coordinato, quasi come un nuovo lavoro
parasubordinato.
Per i telelavoratori coordinati dovrebbe essere garantita una legge di
tutela minima, in materia previdenziale di salvaguardia alla sicurezza e salute lasciando il resto
di concerto alle parti.
Solo così effettivamente, a livello legale, si
potrebbe auspicare un intervento legislativo in materia di telelavoro, il quale
crei questo terzo genere, che renda meno rigida la distinzione tra lavoro autonomo
e subordinato, che sia diretto a qualificare non tutto il fenomeno del
telelavoro, ma si limiti a creare un
tipo legale nel quale possano essere inquadrate solo determinate fattispecie di
telelavoro.
Se il legislatore continua ad essere lento, e le
controversi continueranno ad essere risolte magari con impostazioni più o meno
azzeccate dai giudici, solo la contrattazione collettiva come strumento duttile,
capace di adeguarsi ai continui mutamenti potrà portare la evoluzione richiesta.
Pensiamo anche al disegno di legge n. AC 2305,
contenente norme per l’incentivazione del telelavoro, presentato il 3 aprile
1997 al Senato della Repubblica, scopo di tale disegno oltre alla promozione
del telelavoro, era quello di dettare
una prima disciplina.
Un primo aspetto, preso in considerazione dal
disegno, è quello che il telelavoro è in grado di diminuire spostamenti ed entità organizzative, soprattutto per
coloro che lavorano nella pubblica amministrazione, riequilibrio del mercato
del lavoro, il superamento per i portatori di handicap di determinati aspetti
lavoristici.
Viene anche
prevista una commissione telelavoro al fine di perseguire obiettivi che
selezionino progetti ed obiettivi, richiedenti il finanziamento di cui all’art.
3, selezionare e valutare le iniziative di telelavoro proposte da parte della
pubblica amministrazione per i quali sia stato richiesto un contributo statale,
controllare lo svolgimento dei progetti approvati e riferire annualmente al
Parlamento sugli sviluppi in corso e sui risultati conseguiti, condurre
ricerche sull’utilizzo del telelavoro e sulle relative conseguenze produttive.
All’art. 3 è prevista l’istituzione di un fondo per
incentivare il telelavoro, realizzazioni che tendono a massimizzare i vantaggi,
riducano i rischi di tale modalità lavorativa.
Le condizioni per la concessione degli incentivi, e
l’applicazione ai propri
dipendenti da parte del soggetto
richiedente del contratto collettivo nazionale di settore e, qualora
esistenti,dei contratti collettivi che disciplinano il telelavoro.
Se nel settore cui appartiene il soggetto
richiedente siano stipulati più contratti collettivi di lavoro, la condizione
di cui sopra è soddisfatta, qualora i trattamenti applicati, non siano
inferiori a quelli fissati dai contratti collettivi, stipulati dalle
associazioni sindacali aderenti alle confederazioni nazionali maggiormente rappresentative.
L’art. 4 attribuisce alle regioni la competenza alle normative per la realizzazione di edifici attrezzati
per il telelavoro, l’art. 5 impegna il Ministero delle poste e telecomunicazioni
ad un intervento di abbattimento o riduzione delle barriere tariffarie al fine
di sviluppare il telelavoro.
In questo modo, pur garantendo anche attraverso la
COSTEL commissione per lo sviluppo del telelavoro, la quale si interessa di sperimentare su tutto il territorio il progetto telelavoro, avviando fenomeni di
studio nelle aree depresse del Mezzogiorno, con l’avvio di telecentri, al
telelavoratore una soglia di tutela minima,
viene lasciata alla libertà della parti di disciplinare il rapporto in maniera
duttile e più conforme alle particolari caratteristiche dell’impresa e del
settore, in cui il telelavoro viene introdotto e alle esigenze mutevoli del
mercato e dei lavoratori interessati.
La novità
comunque degna, a livello di tutela, di maggior rilievo è quella di aver previsto la estensione della
suddetta soglia di garanzie, anche ai lavoratori parasubordinati, i quali per ragione di debolezza economica e sociale necessitano di essere tutelati sotto certi aspetti almeno come quelli subordinati.
Questo perché il telelavoro nelle sue varie forme
comunque potrebbe portare a delle forme di sottotutela, le quali debbono essere
contrastate con un forte intervento
legislativo e concreto nei vari settori.
Poniamoci, per concludere questa prospettiva globale sul mondo del telelavoro, con alcune
considerazioni sulla proposta di legge, affrontando poi successivamente un assetto futuro per il lavoro a distanza.
Abbiamo più volte detto che il telelavoro è un
fenomeno complesso, multiforme e difficilmente standardizzabile, il quale
sicuramente scardina gli assetti statici, sia con riguardo alla economia aziendale
generale che sui contratti nazionali.
La stessa bipartizione tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato viene messa in crisi poiché nascono ulteriori categorie professionali che in un certo qual modo si dividono a metà tra queste due
grandi bipartizioni.
Quindi poter cristallizzare la definizione, teorico
pratica, del telelavoro è un esercizio esegetico formale molto difficile,
poiché la mutevolezza delle prestazione e quindi della qualità e tipo di opera mal si addice ad un concetto stabile nel tempo; la normativa, o meglio futuri
principi legislativi dovrebbero
definire meglio il concetto di garanzie statiche, lasciando alla contrattazione
aziendale e all’autonomia negoziale delle parti sociali, la libertà di trovare
le vie migliore di una tutela forte e chiara per ogni singola realtà
lavorativa.
L’ipotesi di proposta di legge, anche dopo la
revisione dell’aprile 1997, non definisce il telelavoro, o meglio non chiarisce le
trame convulse del fenomeno, ma rimane su criteri generali. Oltretutto si
sostiene la necessità di un intervento di promozione del lavoro a distanza
attraverso l’istituzione di un fondo nazionale di incentivazione, facendo sì
che questo tipo di proposta, altro non sia che un intervento per ottenere dei
fondi non ancorati ad obiettivi solidi, arrivando magari a fenomeni molto
rischiosi che potrebbero mettere il telelavoro in un archivio, che negli anni
sarebbe solamente impolverato.
Questo perché anche le passate esperienze sul part -
time e sui contratti di formazione hanno reso in un primo tempo giustizia a
casi, forse non sporadici, di richiesta lavoro, ma successivamente coloro che
erano impiegati con questa qualificazione contrattuale si sono visti
licenziare, per ragioni forse a loro
oscure, ma sicuramente chiare per l’assetto economico finanziario
dell’imprenditore.
Quindi, non occorre una legge che prevede
l’ammontare di prestiti per finanziare
progetti, ma è necessaria proprio
una normativa che tuteli le sperimentazioni
favorendo la divulgazione dei vari propositi, facendo così, il
legislatore successivamente potrebbe inquadrare la fattispecie “telelavoro”.
Quindi la tesi contraria, potrebbe anche opinare, il
fatto che, senza soldi esterni, l’azienda non potrebbe creare dei telelavori
nuovi, ed allora si potrebbe finanziare con delle risorse la costruzione di
telecentri in aree strategiche del territorio, seguirne lo sviluppo,
monitorando il loro evolversi per
almeno cinque anni, vedendo l’impatto
sul territorio e sul livello occupazionale; esiste una
possibilità di finanziamento delle regioni del meridione, ma facendolo
con le parti sociali, coinvolgendo singole imprese o gruppi di esse,
costituendo magari cooperative, associazioni.
Ora, le uniche soluzioni che possiamo concretizzare,
sono quelle di far fronte
alla esigenza di alfabetizzazione dei
cittadini italiani alla cultura informatica, questo può avvenire, senza
tante spese, per il privato, con l’intervento governativo.
5.-
Conclusioni.
Successivamente se vogliamo, come tutti oggi ne
parlano, la società dell’informazione dove tutto scorre via in tempi brevissimi, dovremo per forza cablare il paese, successivamente
avere anche una legge ad hoc. Ma senza i supporti adeguati, il
telelavoro non potrà mai decollare e diventare una realtà lavorativa di impatto
sociale generale. Tuttavia, Massimo D’Antona scrisse, che il telelavoro è
congeniale alla trasformazione filosofica
della pubblica amministrazione, sia per chi lo utilizza che per chi lo presta, il detto lavorare
tutti insieme degli anni ‘60 - ‘70, mal
si concilia con un lavoro a distanza telematico.
Il telelavoro aumenta la sfera di flessibilità personale, garantendo una maggiore autonomia
delle persone e, quindi, maggiore soddisfazione per se stessi e per l’ambiente in cui si voglia vivere.
La contrattazione collettiva è vero che ha aperto la
strada nei primi anni novanta, ma rimane ancora legata a schemi di
rigidità interpretativa, proprio per questo, il settore privato in generale, è
al nastro di partenza, a differenza del comparto pubblico, il quale con passo
da tartaruga, ha fissato in questo scorcio di fine millennio, le regole per lo
sviluppo ed applicazione concreta al telelavoro.
(1) G. Giugni, E’ necessario subito un
altro telestatuto, in Telema, 1995, 46.
(2) G. Gaeta, Lavoro a distanza e
subordinazione, Napoli, 1995: “Con tale espressione si intendono quelle
forme di telelavoro svolte in luogo topograficamente distinto dai locali aziendali”