CAPITOLO VIII

 

ESISTERA’ UN REGOLAMENTO PER IL TELELAVORO?

 

1.- Quale natura dovrebbe avere un buon contratto di telelavoro? 2.- Gli accordi stipulati in relazione ai disegni di legge presentati. 3.- Il disegno di legge n. AC 2305 come concreta risposta. 4.- L’art. 2094 c.c. come chiave di lettura del telelavoro? 5.- Conclusioni.

 
 
1.-  Quale natura dovrebbe avere un buon contratto di telelavoro?

 

I precedenti capitoli sono serviti per rendere al lettore, una panoramica abbastanza almeno speriamo, esaustiva delle  problematiche di questo tipo di lavoro, anche se ogni giorno nuove barriere si  superano per tentare di rendere più concretamente possibile l’attuazione del lavoro a distanza.

La domanda di cui ancora non si è avuta risposta è quella i come si può raggiungere una regolamentazione sul telelavoro, cioè è indispensabile una legge o è preferibile attendere che le parti sociali pervengano ad accordi, magari di tipo generale, sulla falsa riga dei code of  practice?

Il dibattito è, come detto prima, ancora in corso, e valide ragioni vengono portate dai sostenitori di ambedue le tesi. Ma se accettiamo il principio che una regolamentazione forte è bene che segua, risponda e sostenga la regolazione pattizia, sembra sconsigliabile, al momento, seguire la sola strada parlamentare.

 

2.- Gli accordi stipulati in relazione ai disegni di legge presentati.

 

Negli accordi sinora stipulati, infatti, è completamente assente la trattazione degli aspetti più critici a volte inquietanti del telelavoro.

In nessun accordo, ad esempio, si è affrontato l’aspetto del lavoro mobile per il personale di vendita una fattispecie assai sviluppata in  cui  i rischi di super lavoro, con il dipendente in continuo pendolarismo tra cliente, azienda e casa, sono concreti ed alimentati dalla possibilità di incrementare o, in periodi di crisi almeno salvaguardare il salario variabile.

Nessun accordo affronta sistematicamente la questione dei lavori semplici, quelli di presidio telefonico che si svolgono tipicamente nei call center, ove manodopera con bassi livelli professionali e di inquadramento svolge compiti di routine, magari 24 ore su 24 per sette giorni alla settimana.

Un ulteriore aspetto, anch’esso mai affrontato sebbene introdotto nel protocollo degli elettrici, è quello dei nuovi assunti in telelavoro, qui si aprono problemi di tutela e di diritti minimi assai diversi rispetto al caso sinora prevalente del lavoro standard a telelavoro.

Chi viene assunto a lavorare fuori della sede tradizionale dell’azienda ha o meno il diritto di frequentare i locali aziendali? Che possibilità ha di chiedere di terminare la sua esperienza esterna senza correre il rischio di perdere il lavoro? Cosa avviene se, quell’assunto anziché lavorare a casa sua  in una città italiana, risiede in una nazione lontana migliaia di chilometri? La contrattazione sul telelavoro, sinora, non si è spinta a regolare questi aspetti, se altro perché se ne è ancora presentata l’occasione, una legge al contrario, non potrebbe esimersi dal regolamentare questa fattispecie. Lo dovrebbe fare, pertanto, senza nessun supporto che viene dalla pratica del mercato del lavoro.

Dovremo allora chiederci quali caratteristiche dovrebbe avere un buon contratto, quali ambiti andrebbero  indagati e quali soluzioni si potrebbero adottare ?

Forse il miglior contratto addirittura potrebbe essere quello che non c’è. Se prendiamo ad esempio il nord Europa, le associazioni sindacali e datoriali con l’assistenza delle istituzioni pubbliche,  definiscono  un code of practice intersettoriale, applicabile a tutti i telelavoratori (1).

Un documento semplice, che indichi diritti e doveri e soluzioni pratiche, una sorta di statuto del telelavoratori.

Partendo dal codice le rappresentanze di categoria ed aziendali, avrebbero vita facile nel calare il telelavoro nelle loro realtà concrete, stipulando accordi company-wide in cui si fissano obiettivi, tutele specifiche e regole comuni e compensi, formazione, valutazione del lavoro. Il vero e proprio accordo operativo dovrebbe quindi essere sancito a un livello ancora più basso, grazie ad un protocollo ad esempio una nota di telelavoro concordata e stipulata con ogni singolo telelavoratore. In questo documento dovrebbero venire fissati gli aspetti cruciali e peculiari della prestazione: quindi rientri in azienda, in quali giorni della settimana o del mese, in quale modo distribuire il lavoro all’interno del gruppo, come misurare il raggiungimento o meno degli obiettivi concordati.

Nel preparare un codice del telelavoro possibile bisognerà partire dalle variabili aziendali, ma va mantenuta  un’attenzione costante all’accettabilità sociale delle regole che si fissano. Un buon punto di partenza potrebbe essere la check list che segue:

1 il telelavoro  deve essere realmente volontario (quindi senza condizionamenti quali la mobilità territoriale o anche l’allettamento di speciali gratifiche in caso di adesione);

2  al lavoratore che accetta la delocalizzazione deve essere garantito lo status di dipendente;

3 deve essere possibile, per entrambi le parti, l’interruzione con un ragionevole preavviso che dipenderà dall’organizzazione tecnica del lavoro e della prestazione a distanza;

4 il lavoratore nell’ambito dell’organizzazione dell’impresa deve poter  distribuire in maniera flessibile l’orario di telelavoro, senza retribuzione aggiuntiva per festivi e notturni, fatti salvi periodi di reperibilità e le presenze in azienda concordate;

5 il telelavoro non può essere assoluto debbono essere quindi previsti dei rientri non episodici in azienda;

6 pari opportunità di carriera per chi telelavora;

7 i carichi di lavoro e turnazioni dovranno essere equamente ripartiti tra lavoratori in sede e distanti

8 il telelavoratore non può essere tenuto responsabile, se non in caso di colpa grave o dolo dei danneggiamenti o furti del materiale aziendale, che costituisce il posto di lavoro remoto;

9 rispetto delle norme di sicurezza;

10 l’azienda dovrà fornire sistemi di non accesso alla rete telematica;

11 l’azienda deve assistere i lavoratori nello svolgimento delle pratiche burocratiche eventualmente richieste dalla delocalizzazione come la modifica della destinazione d’uso da parte dell’appartamento, permessi  della ASL etc.;

12 garanzia alla partecipazione ad assemblee che si tengono nel posto di lavoro considerato come prestazione a tutti gli effetti  sia del tempo  che quello dello spostamento.

Un code of practice potrebbe servire alla valutazione degli obiettivi del lavoro remoto, permettendo lo studio di garanzie e strategie lavorative, cercando di poter rendere stabile e concreta la cultura aziendale nella società dell’informazione.

L’attenzione poi si è spostata grazie alle ultime vicende sulla normativa per la firma digitale, da applicare ad ogni trasmissione documentale, che grazie al supporto del D.P.R. 428/98 regolamento del protocollo amministrativo con procedura informatica, consente a chiunque lavori presso una pubblica amministrazione, ma potremo estendere l’applicabilità anche al comparto privatistico, di archiviare con protocollazione informatica un documento recante la firma digitale di colui che lo ha sottoscritto.

A ben vedere abbiamo affermato che questo sembrerebbe l’anello mancante per far decollare il telelavoro, ma in Italia esistono aspetti diversi del telelavoro, perciò anche se fosse possibile poterlo applicare, la sua qualificazione giuridica  sembra prendere strade diverse, una per il settore pubblico e l’altro per quello privato.

L’idea di fondo da modificare é quella di poter affievolire l’inserimento continuativo del lavoratore nell’impresa con forme di impiego che consentano una gestione  flessibile del rapporto di lavoro, acquisendo per forza nuove tipologie di figure professionali cercando anche di poter  svincolare i soggetti dalla loro staticità lavorativa e di modello contrattuale.

Ecco perché il legislatore sembrava aver subito preso a cuore la questione, poiché si stava rendendo conto del mutamento socio economico, introducendo nuove forme di lavoro flessibile, o per ampliare  la flessibilità di quelli già esistenti  con l’obiettivo di garantire al datore di lavoro la possibilità  di attenuare i fattori di rigidità per l’impiego infatti emanò la Legge 24 giugno 1997, n. 196, recante norme per la promozione dell’occupazione.

 

3.- Il disegno di legge n. AC 2305 come concreta risposta.

 

Ora è bene porre l’attenzione sulla tipologia lessicale dei vari accordi che sono stati stipulati per poi  esaminare il disegno n. AC 2305 e quello sulla pubblica amministrazione appunto per vedere se esistono  delle diversità concettuali .

L’accordo sindacale del 20 giugno 1997 per i dipendenti delle aziende  operanti nel settore del terziario, della distribuzione e dei servizi  premette che  le parti concordano  nell’uso del telelavoro per la valorizzazione della prestazione lavorativa, ma anche per una migliore valorizzazione dell’ambiente. Oltre che permettere una integrazione ai soggetti più deboli, ma esordisce facendo riferimento al concetto e all’uso del telelavoro  come una mera modalità di esecuzione della prestazione lavorativa  la quale può caratterizzare sia lavoro subordinato che parasubordinato che autonoma.

L’art. 1 afferma che i rapporti del contratto riguardano telelavoro dipendente, definendo il telelavoro come una variazione delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le cui tradizionali dimensioni di spazio e tempo, per via di apparecchiature informatico elettroniche, risultano modificate.

L’accordo qualifica anche un concetto di postazione di telelavoro, detta hoteling, che serve solo per coloro che espletano mansioni telelavorabili  in  realtà esterne.

La sfera di applicazione del presente protocollo si applica ai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia regolato dal CCNL  per i dipendenti del terziario  della distribuzione dei servizi  e deve essere naturalmente compatibile con esso.

L’accordo sindacale del 15 gennaio 1997 per i dipendenti del ENPACL (ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro) inquadra il telelavoro come una semplice modifica del luogo di adempimento delle prestazioni lavorative e non dei doveri del lavoratore senza incidere sulla natura giuridica  del rapporto di lavoro in essere con l’Enpacl, che resta un lavoro a tutti gli effetti contrattuali e di tipo dipendente  subordinato e regolato dal CCNL di categoria.

Il telelavoro non modifica l’attuale posizione occupata  dal lavoratore  nella struttura organizzativa.

Il CCNL del 10 settembre 1996 per i dipendenti delle aziende di telecomunicazioni rientranti nel gruppo STET riconosce al telelavoro un innovativo istituto che configura nuove logiche spazio temporali  di espletamento delle prestazioni lavorative, non necessariamente correlate  in modo  esclusivo alla presenza  in servizio presso l’azienda.

Più specificatamente rappresenta una modificazione del luogo di adempimento dell’obbligazione lavorativa realizzata secondo modalità di telelavoro domiciliare, telelavoro working out oppure telelavoro a distanza, dove l’attività lavorativa  viene prestata  da remoto presso centri logisticamente distanti dall’ente aziendale.

L’analisi degli accordi sindacali e dei contratti collettivi italiani finora stipulati hanno regolato il telelavoro esterno (2), non facendo riferimento a nessun tipo di stereotipo esistente ma adeguandosi principalmente alle esigenze aziendali, anche se il telelavoratore viene sempre o quasi  visto come lavoratore subordinato.

Altri accordi invece collocano direttamente la disciplina del telelavoro nel lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., infatti l’accordo sindacale del 1 agosto 1995 per i dipendenti della Telecom Italia SPA, definiscono il telelavoro remotizzazione di unità organizzativa, quindi l’istituto, altro non è che  un esercizio della responsabilità sull’attività produttiva  di riferimento attraverso la remotizzazione di una quota di servizio su una unità organizzativa fisicamente operante all’esterno del territorio di competenza.

Il personale assegnato remotivamente è attribuito gerarchicamente ed organizzativamente  all’unità madre.

Invece i lavoratori della D.B.K. vengono inquadrati  come  lavoratori subordinati a domicilio, infatti l’accordo dell’8 giugno 1995 inquadrano la  teleprestazione  come attività svolta a casa con sistema informatico dell’azienda, che decentra la prestazione  in azienda  non essendo sottoponibile ad obbligo prestabilito di orario,  ne ad un risultato  prefissato rispetto all’orario giornaliero e alla prestazione produttiva.

Quindi non essendo in grado di stabilire staticamente questo tipo di prestazione, si rifanno, per la qualifica, della teleprestazione alla dicitura dell’ufficio internazionale del lavoro, che la definisce come una forma di lavoro effettuata in un luogo distante  dagli uffici e che implica l’adozione di una nuova tecnologia che permette la separazione e facilita  la comunicazione  tra le parti.

 
4.- L’art. 2094 c.c. come chiave di lettura del telelavoro?

 

Gli accordi esaminati hanno come riferimento l’art. 2094 c.c., il quale definisce prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, cioè all’interno di essa; invece tutti gli accordi  italiani fanno riferimento  alla qualifica di teleprestazione come ad una prestazione esterna dall’ambiente lavorativo. Perciò dobbiamo per forza allargare il concetto dell’art. 2094 c.c. in questo senso, si deve ritenere sempre un telelavoratore subordinato colui che espleta una mansione lavorativa a distanza dall’azienda, ma connessa attraverso mezzi informatici: il collegamento dettato dalla preposizione nella è dato dalla connessione telematica.

Però, dobbiamo considerare anche i lavoratori, che prestano la loro attività all’interno della loro casa i quali non è detto che debbano essere considerati lavoratori a domicilio, poiché è una condizione naturale che il telelavoratore presti la sua attività all’interno della propria  abitazione, infatti dobbiamo considerare lavoratore a casa  comunque colui che organizza  l’attività lavorativa all’interno della sua abitazione; nel telelavoro questo certo non accade, infatti nell’accordo Telecom  esiste una clausola  con la quale le parti  si danno atto che, il telelavoro rappresenta una mera modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa  non incidendo sull’inserimento del lavoratore nell’organizzazione  aziendale.

L’analisi fatta in questa parte, ha mostrato ancora, una volta, il problema fondamentale della qualificazione giuridica del telelavoro; tuttavia l’emanazione di una legge speciale ad hoc per questo tipo di prestazione lavorativa certo non risolverebbe tutti i problemi incorsi, primo perché il telelavoro è un fenomeno recente in cui non si hanno ben definiti i modelli organizzativi, per cui una legge potrebbe anche essere incompleta, secondo  perché il telelavoro non può essere qualificato e disciplinato come un fenomeno unitario, poichè  si presta ad esser inquadrato in una molteplicità di schemi contrattuali. Infatti, ricondurre il telelavoro alle forme oggi esistenti a livello contrattuale, per la configurazione giuridica è cosa facile e fatta da tutte le aziende che stanno impiegando telelavoratori, in quanto poco si snatura, ma quello che forse occorre sottolineare è il tipo di collegamento informatico o telematico che si intende impiegare.

Ad esempio sarà la tipologia di comunicazione che intercorre tra il videoterminale esterno e il sistema informativo centrale, e non il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa,  ad impedire che la teleprestazione possa essere ricondotta  al lavoro subordinato in azienda di cui all’art. 2094 del c.c.?

La normativa esistente è stata dettata facendo riferimento a situazioni completamente diverse dal telelavoro, poichè essa può essere opportunamente dettata a tale nuova forma lavorativa.

Certo lasciare alla libera volontà delle parti lo schema di contratto da scegliere sembrerebbe la strada migliore da percorrere, anche perché il terzo genere il c.d. lavoro coordinato non sembra  calzare a pennello le problematiche del telelavoro, poiché si è ipotizzato, la creazione di un’area giuridica nella quale dovrebbero confluire indistintamente, oltre al telelavoro, un vasto altro ventaglio di lavoratori con mansioni e qualifiche  molto diverse l’una dall’altra.

Comunque occorre riconoscere il merito a chi ha inquadrato il lavoro coordinato per aver preso coscienza di una nuova strada innovativa, che cerca concretamente di  superare la classica bipartizione del lavoro autonomo con quello subordinato, oltre che verificando le garanzie legali e contrattuali connesse a quelle tipologie di impiego. Una legge ad hoc che qualifichi il telelavoro come una prestazione coordinata, inseribile nell’organizzazione imprenditoriale aziendale, libera nella determinazione del tempo e delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, ed essenzialmente incentrata sul conseguimento degli obiettivi, potrebbe essere una valida soluzione per quelle forme di telelavoro flessibili, svolte da soggetti dotati di un’elevata professionalità e liberi da direttive vincolanti e da obblighi di orario.

Ma dalla contrattazione collettiva in materia, i telelavoratori sono spesso dotati di bassa professionalità , limitandosi a svolgere attività esecutive che non si prestano ad essere considerati come obiettivi.

Invece di inserirli nel lavoro coordinato potremmo  ricondurli al lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. o dalla legge 877/73 sul lavoro a domicilio .

Pensiamo ad un soggetto che impiega un collegamento di tipo on line e il lavoratore sia sottoposto alla continua ingerenza del datore di lavoro,  nell’esecuzione della prestazione lavorativa,  oltre che vincolato ad un orario di lavoro e retribuito in base a quest’ultimo, il telelavoratore, dobbiamo ricondurlo all’art. 2094 c.c., e quindi considerarlo a tutti gli effetti lavoratore subordinato, o meglio telelavoratore subordinato.

Se prendiamo, ad esempio, altro schema legale o venisse fuori una legge ad hoc, dobbiamo fare i conti con una sentenza della corte costituzionale  del 31 marzo 1994 n. 115, che ha individuato i limiti alla disponibilità del tipo di lavoro subordinato.

La corte ha confermato un principio cardine dell’ordinamento giuridico: la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è determinata oggettivamente, e non è mai rilevante di per se il titolo formale che le parti abbiano voluto apporre.

Quindi secondo questa pronuncia  neanche al legislatore sarebbe consentito derogare a tale criterio,  poichè questi non potrà negare la qualificazione giuridica  del rapporto di lavoro subordinato a quelli che abbiano oggettivamente tale natura.

Ora potremo anche obiettare che un ragionamento del genere è come un assioma indefettibile ed ineliminabile, in quanto se lo status della subordinazione vada ricercato nei fatti con l’aiuto di parametri elastici mutevoli secondo vari valori, si potrebbe pensare che, fatti del genere non siano privi di valenza costituzionale, perché impedirebbero il potere del legislatore ordinario, il quale non dovrebbe tenere in considerazione la valutazione di un interesse generale, e concreto della società lavorativa, oltre che uscire dal classico concetto della reale subordinazione.

Ora visto che l’art. 2094 c.c. è stato, comunque, voluto pensando all’azienda come luogo di lavoro, sembra effettivamente molto riduttivo pensare che solamente un intervento di rango costituzionale, aprirebbe le strade alla nuova subordinazione, in quanto il legislatore ordinario poco può fare, in quanto la libertà di spazio e di tempo oltre che gerarchica con il telelavoro, è  problema degli anni ‘90 e non certo degli anni ‘40.

Ma i problemi esistono, anche riguardo alla disciplina lavoristica applicabile; quella dettata per il lavoro prestato all’interno dell’impresa, possa essere più o meno agevolmente adattata alle particolarità del lavoro a distanza.

L’adattamento della normativa potrebbe avvenire lo abbiamo già detto a livello contrattuale, anche se sarebbe meglio intervenire sul concetto della teleprestazione.

Ad esempio, si potrebbe ipotizzare un intervento legislativo della legge 300/70, adeguandola allo sviluppo tecnologico odierno, al fine di preservare i telelavoratori, i quali sono costantemente guidati dal software di base, da un potere direttivo e di controllo potenzialmente subdolo e penetrante.

Tuttavia, per ricondurre questi lavoratori al tipo legale dell’art. 2094 c.c. dovranno comunque esistere tutti  quegli elementi che caratterizzano questa tipologia, continuità, orario, retribuzione a tempo etc..

Certo la frustrazione sale, poiché il telelavoro ha  quanto mai grosse potenzialità di sviluppo ma, per via della sua innata elasticità di prestazione, ed oggi più che mai,occorrerebbe pensare veramente  al raggiungimento di obiettivi prefissati attraverso le direttive del datore, facendo comunque leva sull’autonomia del telelavoratore  e del suo operato.

Quindi la retribuzione dovrebbe essere corrisposta in base al risultato pensando ad una aliquota fissa mensile più  un incentivo al risultato raggiunto.

Tuttavia, disciplinando il rapporto di lavoro secondo le modalità previste verrebbero a coesistere, nella fattispecie concreta, elementi tipici del lavoro subordinato e del lavoro autonomo.

Non essendo infatti manifesto  lo stato di subordinazione pieno, il datore di lavoro facendo leva sulla presenza di alcuni elementi tipici del rapporto di lavoro autonomo, potrebbe ricondurre a quest’ultimo schema contrattuale il rapporto di telelavoro, allo scopo di eludere l’applicazione della disciplina protettiva degli oneri sociali assistenziali e previdenziali del lavoro subordinato.

Occorre uno sforzo innovativo da parte dell’interprete, il quale deve procedere alla qualificazione della singola fattispecie, a prescindere dalla qualificazione formale attribuita dalle parti al rapporto, valutandone lo svolgimento concreto e la disciplina giuridica dei singoli istituti in maniera più adeguata alla nuova forma lavorativa.

Quindi pensiamo, ad esempio, che il potere direttivo da cui partiamo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro, nel quale consiste la subordinazione,  non deve per forza concretarsi in una continua ingerenza dell’imprenditore sull’operato del telelavoratore, ciò che deve invece rilevare è la continua  esistenza di un obbligo giuridico di obbedienza del telelavoratore, che attenga alla struttura dell’obbligazione e non necessariamente al comportamento di fatto.

In questo modo potremmo non riconoscere lo stato di subordinazione piena,  ma comunque il telelavoratore potrebbe essere sempre ritenuto, o meglio qualificato, subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., la cui formulazione astratta di lavoro reso alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, è idonea a ricomprendervi anche il nuovo modello  sociale creato dal telelavoro. Al telelavoratore, sulla cui attività il datore può intervenire in qualsiasi momento, potrebbe comunque esistere la differenza che il prestatore sia libero di determinare il tempo della prestazione e venga retribuito secondo quanto raggiunto, quindi si potrebbe  avere una non completa applicazione della subordinazione retributiva; in questo caso, invece, di essere  garantisti al massimo nella prestazione subordinata,  la tutela dovrebbe essere graduata corrispondente al livello di subordinazione e all’ingerenza del datore di lavoro nell’esecuzione della prestazione lavorativa.

La disciplina legale e contrattuale avrebbe così modulazioni diversificate a  seconda che la subordinazione tecnico - funzionale vada sempre più verso quella personale, dove invece non esiste  nessuna ingerenza del datore nell’esecuzione del lavoro, che non sia limitata alla preventiva determinazione  delle caratteristiche  dell’opus commissionato, il quale deve essere qualificato come autonomo.

I lavoratori invece che, stabilmente e funzionalmente, sono collegati all’organizzazione produttiva dell’imprenditore, non soggetti alle direttive di quest’ultimo, ma comunque debbono attenersi al rigoroso rispetto del programma operativo predisposto dal committente,  potranno essere inquadrati nel c.d. lavoro coordinato, quasi come un nuovo  lavoro parasubordinato.

Per i telelavoratori coordinati  dovrebbe essere garantita una legge di tutela minima, in materia previdenziale di salvaguardia  alla sicurezza e salute lasciando il resto di concerto alle parti.

Solo così effettivamente, a livello legale, si potrebbe auspicare un intervento legislativo in materia di telelavoro, il quale crei questo terzo genere, che renda meno rigida la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, che sia diretto a qualificare non tutto il fenomeno del telelavoro, ma si limiti a creare  un tipo legale nel quale possano essere inquadrate solo determinate fattispecie di telelavoro.

Se il legislatore continua ad essere lento, e le controversi continueranno ad essere risolte magari con impostazioni più o meno azzeccate dai giudici, solo la contrattazione collettiva come strumento duttile, capace di adeguarsi ai continui mutamenti potrà portare  la evoluzione richiesta.

Pensiamo anche al disegno di legge n. AC 2305, contenente norme per l’incentivazione del telelavoro, presentato il 3 aprile 1997 al Senato della Repubblica, scopo di tale disegno oltre alla promozione del telelavoro,  era quello di dettare una prima disciplina.

Un primo aspetto, preso in considerazione dal disegno, è quello che il telelavoro è in grado di  diminuire spostamenti ed entità organizzative, soprattutto per coloro che lavorano nella pubblica amministrazione, riequilibrio del mercato del lavoro, il superamento per i portatori di handicap di determinati aspetti lavoristici.

 Viene anche prevista una commissione telelavoro al fine di perseguire obiettivi che selezionino progetti ed obiettivi, richiedenti il finanziamento di cui all’art. 3, selezionare e valutare le iniziative di telelavoro proposte da parte della pubblica amministrazione per i quali sia stato richiesto un contributo statale, controllare lo svolgimento dei progetti approvati e riferire annualmente al Parlamento sugli sviluppi in corso e sui risultati conseguiti, condurre ricerche  sull’utilizzo del telelavoro  e sulle relative conseguenze produttive.

All’art. 3 è prevista l’istituzione di un fondo per incentivare il telelavoro, realizzazioni che tendono a massimizzare i vantaggi, riducano i rischi di tale modalità lavorativa.

Le condizioni per la concessione degli incentivi, e l’applicazione ai propri  dipendenti  da parte del soggetto richiedente del contratto collettivo nazionale di settore e, qualora esistenti,dei contratti collettivi che disciplinano il telelavoro.

Se nel settore cui appartiene il soggetto richiedente siano stipulati più contratti collettivi di lavoro, la condizione di cui sopra è soddisfatta, qualora i trattamenti applicati, non siano inferiori a quelli fissati dai contratti collettivi, stipulati dalle associazioni sindacali aderenti alle confederazioni nazionali maggiormente rappresentative.

L’art. 4 attribuisce alle regioni  la competenza alle normative  per la realizzazione di edifici attrezzati per il telelavoro, l’art. 5 impegna il Ministero delle poste e telecomunicazioni ad un intervento di abbattimento o riduzione delle barriere tariffarie al fine di sviluppare il telelavoro.

In questo modo, pur garantendo anche attraverso la COSTEL commissione per lo sviluppo del telelavoro, la quale si interessa  di sperimentare su tutto il territorio  il progetto telelavoro, avviando fenomeni di studio nelle aree depresse del Mezzogiorno, con l’avvio di telecentri, al telelavoratore una soglia di tutela minima,  viene lasciata alla libertà della parti di disciplinare il rapporto in maniera duttile e più conforme alle particolari caratteristiche dell’impresa e del settore, in cui il telelavoro viene introdotto e alle esigenze mutevoli del mercato e dei lavoratori interessati.

La novità  comunque degna, a livello di tutela, di maggior rilievo è quella  di aver previsto la estensione della suddetta soglia di garanzie, anche ai lavoratori parasubordinati,  i quali per ragione  di debolezza  economica e sociale necessitano di essere tutelati  sotto certi aspetti almeno come quelli subordinati.

Questo perché il telelavoro nelle sue varie forme comunque potrebbe portare a delle forme di sottotutela, le quali debbono essere contrastate con un forte  intervento legislativo e concreto nei vari settori.

Poniamoci, per concludere  questa prospettiva globale sul mondo del telelavoro, con alcune considerazioni sulla proposta di legge, affrontando poi successivamente un  assetto futuro per il lavoro a distanza.

Abbiamo più volte detto che il telelavoro è un fenomeno complesso, multiforme e difficilmente standardizzabile, il quale sicuramente scardina gli assetti statici, sia con riguardo alla economia aziendale generale che sui contratti nazionali.

La stessa bipartizione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato viene messa in crisi poiché nascono ulteriori categorie  professionali  che in un certo qual modo si dividono a metà tra queste due grandi bipartizioni.

Quindi poter cristallizzare la definizione, teorico pratica, del telelavoro è un esercizio esegetico  formale  molto difficile, poiché la mutevolezza delle prestazione e quindi della qualità e tipo di opera  mal si addice ad  un concetto stabile nel tempo; la normativa, o meglio futuri principi legislativi  dovrebbero definire meglio il concetto di garanzie statiche, lasciando alla contrattazione aziendale e all’autonomia negoziale delle parti sociali, la libertà di trovare le vie migliore di una tutela forte e chiara per ogni singola realtà lavorativa.

L’ipotesi di proposta di legge, anche dopo la revisione dell’aprile 1997,  non definisce  il telelavoro, o meglio non chiarisce le trame convulse del fenomeno, ma rimane su criteri generali. Oltretutto si sostiene la necessità di un intervento di promozione del lavoro a distanza attraverso l’istituzione di un fondo nazionale di incentivazione, facendo sì che questo tipo di proposta, altro non sia che un intervento per ottenere dei fondi non ancorati ad obiettivi solidi, arrivando magari a fenomeni molto rischiosi che potrebbero mettere il telelavoro in un  archivio, che negli anni  sarebbe solamente impolverato.

Questo perché anche le passate esperienze sul part - time e sui contratti di formazione hanno reso in un primo tempo giustizia a casi, forse non sporadici, di richiesta lavoro, ma successivamente coloro che erano impiegati con questa qualificazione contrattuale si sono visti licenziare, per ragioni  forse a loro oscure, ma sicuramente chiare per l’assetto economico finanziario dell’imprenditore.

Quindi, non occorre una legge che prevede l’ammontare di prestiti per finanziare  progetti, ma  è necessaria proprio una normativa che tuteli le sperimentazioni  favorendo la divulgazione dei vari propositi, facendo così, il legislatore successivamente potrebbe inquadrare la fattispecie “telelavoro”.

Quindi la tesi contraria, potrebbe anche opinare, il fatto che, senza soldi esterni, l’azienda non potrebbe creare dei telelavori nuovi, ed allora si potrebbe finanziare con delle risorse la costruzione di telecentri in aree strategiche del territorio, seguirne lo sviluppo, monitorando il loro evolversi  per almeno cinque anni, vedendo l’impatto  sul territorio e sul livello occupazionale; esiste  una  possibilità di finanziamento delle regioni del meridione, ma facendolo con le parti sociali, coinvolgendo singole imprese o gruppi di esse, costituendo magari cooperative, associazioni.

Ora, le uniche soluzioni che possiamo concretizzare, sono quelle  di  far fronte  alla esigenza di alfabetizzazione dei  cittadini italiani alla cultura informatica, questo può avvenire, senza tante spese, per il privato, con l’intervento governativo.

 

5.- Conclusioni.

 

Successivamente se vogliamo, come tutti oggi ne parlano, la società dell’informazione dove tutto scorre via  in tempi brevissimi, dovremo  per forza cablare il paese, successivamente avere anche una legge ad hoc. Ma senza i supporti adeguati, il telelavoro non potrà mai decollare e diventare una realtà lavorativa di impatto sociale generale. Tuttavia, Massimo D’Antona scrisse, che il telelavoro è congeniale alla trasformazione filosofica  della pubblica amministrazione, sia per chi lo utilizza  che per chi lo presta, il detto lavorare tutti insieme  degli anni ‘60 - ‘70, mal si concilia con un lavoro a distanza telematico.

Il telelavoro aumenta  la sfera di flessibilità personale, garantendo una maggiore autonomia delle persone e, quindi, maggiore soddisfazione per  se stessi e per l’ambiente in cui si voglia vivere.

La contrattazione collettiva è vero che ha aperto la strada  nei primi anni  novanta, ma rimane ancora legata a schemi di rigidità interpretativa, proprio per questo, il settore privato in generale, è al nastro di partenza, a differenza del comparto pubblico, il quale con passo da tartaruga, ha fissato in questo scorcio di fine millennio, le regole per lo sviluppo ed applicazione concreta al telelavoro.

 

NOTE

 

(1) G. Giugni, E’ necessario subito un altro telestatuto, in Telema, 1995, 46.

(2) G. Gaeta, Lavoro a distanza e subordinazione, Napoli, 1995: “Con tale espressione si intendono quelle forme di telelavoro svolte in luogo topograficamente  distinto dai locali aziendali”