Interpretazione di buona fede
Pierluigi
Milite
Una delle novità
del Codice Civile del 1942 è l’art.1366, che testualmente recita “Il contratto
deve essere interpretato secondo
buona fede”.
Nella Relazione
al Codice (1), il Guardasigilli, dopo aver distinto le norme
sull’interpretazione del contratto in due gruppi, il primo (artt.1362-1365)
diretto ad accertare la c.d. volontà in
concreto delle parti (norme sull’interpretazione soggettiva), il secondo
(artt.1367-1371) diretto ad accertare, ove l’applicazione del primo gruppo di
norme lasciasse dei dubbi insoluti, la c.d. volontà
in astratto delle stesse (norme sull’interpretazione oggettiva, destinate a
ricostruire il significato dell’operazione economica “mediante l’applicazione
di principi legislativamente fissati” a prescindere dall’indagine sulla comune
intenzione delle parti), afferma che, in caso di conflitto interpretativo, al
fine di dare “la prevalenza alla certezza dell’affidamento e all’esigenza di
stabilità dei rapporti giuridici, … alle proposte e alle dichiarazioni di
ciascuna parte si dovrà cioè attribuire non già il significato soggettivo in
cui esse vennero, di fatto, intese dalla medesima o dalla controparte secondo
una sua accidentale impressione, ma il significato oggettivo in cui la parte
accettante poteva e doveva
ragionevolmente intenderle secondo la regola della buona fede: significato
questo, che è il solo normalmente riconoscibile e sul quale pertanto
l’accettante deve poter fare sicuro assegnamento. Solo così il legittimo
affidamento fondato sul comune
significato delle dichiarazioni trova nell’interpretazione una tutela
efficace”.
L’art.1366 c.c.
è definito punto di sutura tra gli articoli relativi all’interpretazione che lo
precedono (artt.1362-1365) e quelli che lo seguono (artt.1367-1371) (2) e
soprattutto è configurato quale necessario complemento di quello stesso
principio di buona fede obiettiva già enunciato negli artt.1337 e 1375 c.c., ed
in quanto tale dominante entrambi i momenti (soggettivo ed oggettivo)
dell’interpretazione.
Le parole del
Guardasigilli sono state auspici e complici di differenti posizioni dottrinarie
oscillanti tra l'affermazione di un'assoluta irrilevanza della disposizione in
esame (3) e l’esaltazione di un suo costante ruolo integrativo (4), che lo avrebbe
condotto a sovrapporsi sistematicamente alla comune intenzione delle parti. Tra
questi due estremi è l’opinione di chi colloca tale norma tra le disposizioni
relative all’interpretazione oggettiva (5), quella di chi, invece, ne rivaluta
la matrice soggettiva (6), quella ancora di chi vi ravvisa un criterio di
controllo (7) o ne evidenzia una funzione correttiva (8).
La sussidiarietà
dell'art.1366 c.c. rispetto alle norme relative all’interpretazione soggettiva,
è accettata da coloro che, muovendosi in una prospettiva volontaristica, lo
inquadrano nell’ambito delle norme relative all’interpretazione oggettiva (9) e
giungono ad affermare che il giudice applica correttamente tale articolo,
quando abbia interpretato il contratto “nel modo in cui plausibilmente dovevano
averlo inteso” le parti (10). Negano, invece, una posizione subalterna
dell’art.1366 c.c. quanti, ponendone in evidenza la natura di disposizione
diretta a consentire l’accertamento della comune (11) volontà delle parti nei
modi e nei limiti in cui essa emerge dal regolamento in cui si è obiettivata,
ne sostengono un’immediata applicabilità (12) ovvero una perfetta fungibilità
con gli altri mezzi di interpretazione (13).
Su posizioni
intermedie è l’orientamento di chi (14), rifacendosi ad autorevoli insegnamenti
(15) e alle stesse parole del Guardasigilli, individua nell’art.1366 una
"cerniera" tra la disciplina dell’interpretazione soggettiva e quella
dell’interpretazione oggettiva che impone all’interprete di ricercare il
significato della fattispecie contrattuale che sia conforme all’affidamento
reciproco delle parti, presupponendo in esse un comportamento leale e corretto.
Secondo questa impostazione, il fine posto dalla norma in esame si
realizzerebbe in due direzioni. Da un lato nella ricostruzione dell’intento
comune, ex art.1362 co.1, l’interprete “potrà e dovrà scartare quegli elementi
(desunti dal testo contrattuale, dalle trattative, ecc.) che giudicherà frutto
di intenti sleali di una delle parti” (16), (in questo modo il criterio di buona
fede opera come limite ad un allargamento del materiale interpretativo
extratestuale, ex art.1362 cpv., ponendosi a completamento del sistema di
interpretazione soggettiva), dall'altro, ove il dubbio persista, l'interprete
dovrà operare una selezione tra i diversi significati possibili sulla base di
un criterio ispirato ad una chiara scelta di politica legislativa: la tutela
della lealtà nella formazione del contratto (sotto questo secondo profilo,
l’art.1366, opera, quindi, esattamente come norma di interpretazione
oggettiva). La buona fede come regola di interpretazione (17), verrebbe così ad
avere una doppia valenza, soggettiva ed oggettiva, consentendo all’interprete
di attribuire alla dichiarazione un significato che è “oggettivo, ma relativo”
poiché tale norma “implica una scelta diretta ad attribuire alla dichiarazione
un senso che non sia estraneo alle esigenze specifiche dei contraenti, pur
nell’ambito di significati oggettivi recepibili dal destinatario” (18).
L’esame della
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, lungi dal rispecchiare le
divergenze presenti in campo dottrinario, ci offre un consolidato orientamento
in ordine all’articolo in esame e, più in generale, relativamente al
procedimento interpretativo nel suo insieme: l'indubbia netta divisione delle
norme relative all’interpretazione del contratto in due gruppi (19) espressione
di due distinti criteri interpretativi (norme sull’interpretazione soggettiva e
norme sull’interpretazione oggettiva), non deve condurre a parlare di “una
priorità di uno dei due criteri sull’altro, ma piuttosto di un razionale
gradualismo dei mezzi di interpretazione che devono fondersi ed armonizzarsi
tra loro” (20), succedendosi nella loro applicazione secondo un ordine
precostituito, che li distingue in principali o soggettivi e sussidiari o
oggettivi. Il criterio di buona fede di cui all’art.1366 c.c., collocato tra
gli strumenti sussidiari di interpretazione oggettiva, corrisponde a “regole
oggettive di lealtà e correttezza alla cui stregua si deve ricostruire la
volontà delle parti” (21), integrandone ovvero limitandone la portata (22), ma
solo quando il comune volere non emerga in modo chiaro, certo ed assoluto (23)
attraverso l’applicazione degli strumenti ermeneutici principali, poiché
altrimenti si finirebbe per attribuire alle parti un quid pluris (24), cui costoro
ben potrebbero aver espressamente e concordemente rinunciato nella loro
pattuizione. La buona fede oggettiva fungerà, quindi, non da regola di condotta
ma da criterio di valutazione (25), al quale il giudice di merito dovrà
ricorrere rispettando la gerarchia (26) esistente tra le varie norme
interpretative, e la cui violazione sarà deducibile in sede di legittimità.
La dottrina (27)
è uniforme nel ritenere applicabile l’art.1366 c.c. anche ai contratti
stipulati dalla Pubblica Amministrazione. In particolare si afferma che, pur
assumendo in essi minor rilievo il processo soggettivo di formazione della volontà
e sebbene il comune volere delle parti debba sempre rivestire la forma scritta,
“tali negozi di diritto privato sono sempre da intendere alla luce del criterio di buona fede, ossia di una reciproca
correttezza e lealtà” (28).
La
giurisprudenza, sebbene tenda a privilegiare l’interpretazione oggettiva (29),
mantiene invariato il proprio generale orientamento: il criterio della
interpretazione secondo buona fede, di cui all’art.1366 c.c., conserva anche in
tal caso il suo ruolo di strumento sussidiario di interpretazione e “può
essere, quindi, applicato ai contratti della p.a. solo quando la comune intenzione dei contraenti non sia accertabile
con gli altri mezzi ermeneutici” (30).
A ribadire la
natura oggettiva della buona fede da utilizzare quale criterio di valutazione delle espressioni in cui l’accordo si è
reso concreto, è una recente pronuncia della Corte dei Conti (31), che
intervenendo proprio sull’applicabilità di tale mezzo ermeneutico in caso di
conflitto interpretativo, afferma che il contratto concluso dalla p.a. deve
essere interpretato “non già privilegiando il significato che ad esso può dare
un imprenditore particolarmente avveduto, quanto piuttosto il senso che
determinati termini rivestono obiettivamente nel linguaggio comune alla maggior
parte dei soggetti che operano in un particolare settore economico e che siano
interessati ad entrare in contatto con l’Amministrazione. Deriva da una
corretta interpretazione del principio di buona fede che l'interpretazione del
contratto e del capitolato di gara non può basarsi su chiarimenti ed
integrazioni che la P.A. dia, a richiesta, a qualcuno degli interessati
particolarmente diligente, ma sul significato obiettivo della terminologia
usata nei confronti di tutti i potenziali interessati”.
Non mancano,
tuttavia, pronunce che sembrano aprirsi significativamente ad un concetto di buona
fede partecipativo di una logica più ampia rispetto a quella sottostante ai
criteri oggettivi di interpretazione.
Ancora la Corte
dei conti afferma, infatti, che: “La clausola contrattuale, anche in materia di
contratti della p.a., deve essere interpretata ed attuata risalendo alla comune
volontà delle parti alla luce del fondamentale principio di buona fede che
domina la formazione e l’esecuzione dei contratti ai sensi degli artt.1337,
1366 e 1375 c.c.” (32). In un lodo arbitrale dell’11 luglio 1991 (33), relativo
ad un contratto di appalto di opere pubbliche, si legge: “Per un’adeguata
ricostruzione della finalità perseguita dalle parti è necessaria una
valutazione coordinata ed unitaria delle espressioni letterali usate dai
contraenti nei vari atti negoziali e dei comportamenti da essi tenuti nel corso
del rapporto, alla luce delle disposizioni di cui all’art.1362, nonché degli
artt.1363 e 1366 c.c.”.
In tali
fattispecie la comune intenzione delle parti è ricostruita attraverso un costante
richiamo al principio di buona fede: l’operazione ermeneutica è, quindi,
realizzata in base ad un’applicazione combinata degli artt.1362 e 1366 c.c.,
che esclude il carattere necessariamente sussidiario di quest’ultima norma,
altrove affermato (34).
Si rileva,
inoltre, una latente tendenza ad ampliare l’ambito di applicazione
dell’art.1366 c.c., che già talvolta utilizzato funzionalmente alla verifica
della opponibilità da parte della p.a. della exceptio inadimpleti contractus (35), sarà soprattutto in un
settore come quello dei rapporti con la p.a., che potrà trovare “applicazioni
oggi non previste e non pensate” (36).
Un duro monito
viene, infine, rivolto alla dottrina da uno dei suoi maggiori esponenti, perché
essa “non attenda dai giudici criteri e parametri di interpretazione, ma
liberata da ogni sudditanza psicologica nei confronti della giurisprudenza,
segua la strada di una nuova teoria dell'interpretazione, sistematica ed assiologica”
(37), che sola può giungere, “attraverso una estrema valorizzazione delle particolarità
del fatto, alla individuazione della normativa maggiormente compatibile con gli
interessi ed i valori in gioco” (38), in
primis quelli costituzionali, tra i quali quello di solidarietà è principio
legittimante la buona fede in senso oggettivo (39), ed in secondo luogo quelli
comunitari (40).
NOTE
(1)
Relazione al c.c. nn.622, 623, 624.
(2)
Relazione al c.c. n.622.
(3)
OPPO la definisce “praticamente inutile” in, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico,
Bologna, 1943, 105; per MESSINEO, poiché la correttezza ispira tutta la ermeneusi
del contratto, tale disposizione è “la quinta ruota del carro”, in Il contratto in genere, Milano, 170; la
critica peggiore è però del RUBINO, Sui
limiti dell’interpretazione dei contratti secondo buona fede, in Giur. compl. cass. civ., 1947, II, 365
ss., il quale la qualifica come espressione di uno “Stato paternalistico che si
intromette e ficca il naso dappertutto, anche negli affari meramente privati”.
Intermedia la posizione del SACCO, Il contratto,
Torino, 1975, 779, che pur non riconoscendo “nell’attuale momento storico”
alcuna pratica rilevanza al criterio della buona fede enunciato nell’articolo
in esame, ritiene tuttavia che esso potrebbe trovare in futuro possibilità di
applicazioni “oggi non previste e non pensate”.
(4)
VARRONE , Il negozio giuridico tra
ideologia e dogmatica, Napoli, 1972, 234 ss.; RODOTA’, op. cit, 112 ss..
(5)
CARRESI, Il contratto, in Trattato di
diritto civile e commerciale diretto da CICU e MESSINEO, Milano, 1987, VIII,
538; MESSINEO, Dottrina generale del
contratto, Milano, 1952, 356; GRASSETTI, L’interpretazione del negozio giuridico, Padova, 1938, 199; STOLFI,
Il principio di buona fede, 1964, I,
223 ss.; COSTANZA, Profili
dell'interpretazione del contratto secondo buona fede, Milano,1989, 32ss..
(6)
BIANCA, Diritto civile, III. Il contratto, Milano, 1998, 392 ss.;
TURCO, Note in tema di ermeneutica
contrattuale e principio di buona fede ex art.1366 c.c., in Riv. critica dir. privato, 1991, 305;
SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale,
in Trattato di diritto civile diretto da GROSSO e SANTORO PASSARELLI, Milano,
1966, XI, 179.
(7)
BESSONE, op. cit., 197 e 325; ALPA, Unità
del negozio e principi di ermeneutica contrattuale, in Giur. It., 1973, I, 1, 1516 ss..
(8)
BIGLIAZZI GERI, Note in tema di
interpretazione secondo buona fede, Pisa, 1970, 71; ID., L’interpretazione del contratto, in Il codice civile – Commentario, diretto
da Schlesinger, Milano, 1991, 197 ss.; ID., Buona
fede nel diritto civile, in Digesto
Civile, II, Torino, 1988, 154.
(9)
MESSINEO, op. ult. cit., 356 ss.; COSTANZA, op. cit., 17.
(10)
CARRESI, Dell'interpretazione del
contratto, in Commentario
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, 108.
(11)
La regola della buona fede è applicabile anche alle dichiarazioni unilaterali
recettizie. In tal senso DONISI, Atti
unilaterali, voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, III, 7;
GRASSETTI, Op. cit, 906; BIANCA, Op. cit., 396.
(12)
BETTI, Teoria generale del negozio
giuridico, Torino, 1960, 339; PERLINGIERI, Appunti di teoria dell’interpretazione, Napoli, 53 e 80; BIANCA, Note in tema di interpretazione del
contratto e d’intervento del proprietario nella vendita di cosa altrui, in Giust. civ., 1974, I, 1283; GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di
diritto civile e commerciale diretto da CICU e MESSINEO, Milano, 1988, 407;
SCOGNAMIGLIO, op. cit., 178; NATOLI, L’attuazione
del rapporto obbligatorio, in Trattato diretto da CICU e MESSINEO, I,
Milano, 1974, 39 ss..
(13)
ALPA, op. cit., 3
(14)
ZICCARDI, Interpretazione del negozio
giuridico, Enc. Giur., XVII, Roma, 1989, 5ss.; BIGLIAZZI GERI, Note in tema di interpretazione secondo
buona fede, cit., 71; CATAUDELLA, L'art.
1366 c.c. ed il commento del Guardasigilli, in Quadrimestre, 1993, 379 ss..
(15)
GRASSETTI, op. cit., 210 ss..
(16)
ZICCARDI, op. cit.., 6.
(17)
COSTANZA, op. cit., 35 “non si può trascurare che la regola contenuta nell'art.1366
c.c. è norma di interpretazione e deve essere utilizzata solo a questo
fine".
(18)
COSTANZA, Interpretazione dei negozi di
diritto privato, voce del Digesto
civile, Torino, 1993, vol. X, 29. L’A. prosegue, affermando che “… la
regola contenuta nell'art.1366 c.c. è norma di interpretazione e deve essere
utilizzata solo a questo fine” ... “In
questa prospettiva il principio di buona fede non può ritenersi assorbito nella
norma dell’art.1362 c.c., perché in ragione della correttezza può attuarsi una
sorta di integrazione della dichiarazione non molto diversa da quella che si
compie nell’ambito dell’ermeneusi c.d. integrativa, ma con l’unica differenza
che il parametro di riferimento non è una norma in senso proprio, ma una regola
di comportamento. Di qui la possibilità di dare una collocazione assolutamente
autonoma al canone dell’art.1366 c.c.. E di tale possibilità si ha palese
conferma nella giurisprudenza e nella dottrina che richiamano la disposizione
in parola per risolvere il problema della presupposizione”.
(19)
Cass.14 gennaio 1983, n.287, Giur it.,
Rep.1983, voce Obbligazione e contratti,
n.244.
(20)
Cass.21 novembre 1983, n.6935, ibid.,
voce cit., n.257. Per il rispetto del c.d. principio del gradualismo: ex plurimis Cass.26 giugno 1996, n.5893,
id., Rep.1996, voce cit., n.289; 20
giugno 1987, n.5437, id., Rep.1987,
n.447; 5 aprile 1984, n.2209, id.,
Rep.1984, voce cit., n.251. Solo poche sentenze si rinvengono, invece, nel
senso dell’immediata applicabilità dell’art.1366 c.c.. In tal senso: Cass.2
aprile 1947, n.503, Foro it.,
Rep.1947, voce Obbligazioni e contratti,
n.159 (secondo cui “dall’art.1366 c.c. non si ricava che alla buona fede si
debba ricorrere soltanto quando vi sia incertezza sul contenuto delle clausole
contrattuali, laddove l’interpretazione del contratto secondo buona fede è
principio di carattere generale, che vale sempre per qualsiasi contratto e per
qualsiasi clausola”); 17 aprile 1970, n.1111, Giur. it., Rep.1970, voce Obbligazioni
e contratti, n.119; 13 dicembre 1980, n.6472, id., Rep.1980, voce Assicurazione (Contratto di), n.201.
(21)
Cass. 12 novembre 1992, n.12165, id., Rep.1992, voce Obbligazioni e contratti, n.378.
(22)
Cass. 11 marzo 1996, n.2001, id.,
1997, I, 1, 129; 10 maggio 1996, n.4400, id., 1993, I, 1, 1772.
(23)
Cass.20 giugno 1987, n.5437, id.,
Rep.1987, voce Obbligazioni e contratti,
n.447.
(24)
Cass.15 maggio 1987, n.4472, ibid.,
voce cit., n.448; 9 aprile 1987, n.3480, id.,
1988, I, 1, 1609.
(25)
Cass.14 giugno 1991, n.6752, id.,
Rep.1991, voce cit., n.386.
(26)
Cass.10 gennaio 1981, n.228, id.,
Rep.1981, voce cit., n.221.
(27)
GALLI, Corso di diritto amministrativo,
Padova, 1996, 788; VIRGA, Diritto
Amministrativo, Milano, 1995, I, 444, n.12; MERUSI, Il principio di buona fede nel diritto amministrativo, in Scritti per Nigro, IV, 215.
(28)
IRTI, Brevi note sulla interpretazione
dei contratti di diritto privato conclusi dalla p.a.”, in Foro amm., 1960, 16.
(29)
Da ultimo C.Conti, sez. contr., 11 dicembre 1996, n.171, in Cons. Stato, 1997, II, 458, (in tema di
acquisto di un'autogrù per esigenze dei VV. FF.).
(30)
Cass.21 febbraio 1983, n.1308, in Giust.
civ., 1983, I, 2379. Per l’applicabilità dell’art.1366 c.c. ai contratti
della p.a. v. anche Cass.11 giugno 1992, n.7174.
(31)
C.Conti, sez. contr., 11 dicembre 1996, n.171, cit.
(32)
C. Conti, sez. contr., 7 settembre 1993, n.126, in Cons. Stato, 1994, II, 289 (in tema di revisione prezzi nel corso
dell'esecuzione di un'opera pubblica);
(33)
In Arch. Giur. oo. pp., 1992, 1059
(34)
Ci si allinea, in questo modo, all'orientamento di chi concepisce l'art.1366
c.c. come norma che "domina entrambi" i momenti dell'interpretazione
(Relazione al cc. n.622); ZICCARDI, op. cit., 5 ss.; CATAUDELLA, op. cit., 379
ss..
(35)
Cass.21 febbraio 1983, n.1308, cit., con nota critica di COSTANZA, Buona fede ed eccezione di adempimento.
La casistica ci offre altre due interessanti pronunce: T.A.R. Piemonte, 9
giugno 1986, n.309, in Arch. Giur. oo.
pp., 1986, 1845 (in tema di decorrenza del calcolo revisionale dei prezzi
contrattuali relativi a contratti suppletivi) e Collegio Arbitrale, 12 luglio
1983, in Arch. Giur. oo. pp., 1984,
537 (in tema di definizione del compenso a corpo stabilito in un contratto di
appalto concluso dall’A.N.A.S.).
(36)
SACCO, op. cit., 433.
(37)
PERLINGIERI, Diritto comunitario e
legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario delle fonti,
Napoli, 1992, 155.
(38)
PERLINGIERI, Manuale di diritto civile,
Napoli, 1997, 104.
(39)
RODOTA’, Le fonti dell’integrazione del
contratto, cit..
(40)
Trib. I Grado Comunità Europee, 22 gennaio 1997, n.115, in Riv dir. Internazionale, 1997, 817: … “Il principio di buona fede è
una norma di diritto internazionale consuetudinario che vincola la Comunità” …
“Il principio di buona fede è il corollario, nel diritto internazionale pubblico,
del principio di tutela del legittimo affidamento che fa parte dell'ordinamento
giuridico comunitario. In una situazione in cui le Comunità hanno depositato i
loro strumenti di approvazione di un accordo internazionale e dove è nota la
data di entrata in vigore dell'accordo stesso, gli operatori economici possono
invocare il principio della tutela del legittimo affidamento per opporsi
all'adozione da parte delle istituzioni, nel periodo precedente all'entrata in
vigore di siffatto accordo, di qualsiasi atto contrario alle disposizioni di
quest'ultimo che, dopo l'entrata in vigore dell'accordo, producano effetti
diretti nei loro confronti”. Relativamente all’interpretazione evidenzia
l’importanza delle norme comunitarie il GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, 27.