ACCORDO TRANSATTIVO PER REGOLARE I RAPPORTI PATRIMONIALI TRA I CONIUGI

( Cassazione - Sezione Prima Civile - Sent. n. 8109/2000 - Pres. A. Grieco  - Rel. A. Finocchiaro)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 4 novembre 1996 il Tribunale di Piacenza ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra E.B. e B.T., rigettando la domanda del B. diretta ad ottenere l'accertamento dell'insussistenza del suo obbligo di dovere alla T. alcunché, a qualsiasi titolo, anche per assegni alimentari, in quanto l'erogazione mensile fatta dal marito era riconducibile non all'assegno di mantenimento ma ad una rendita vitalizia costituita dalle parti in sede di separazione consensuale, a tacitazione di ogni pretesa economica della moglie "vita natural durante". La Corte di Appello di Bologna ha confermato tale decisione, sia pure qualificando diversamente il negozio contenuto nella scrittura privata sottoscritta dalle parti il 22 giugno 1993 e parzialmente recepita nel verbale di separazione consensuale del 17 maggio 1994. La Corte territoriale ha, infatti, osservato che la scrittura privata ora indicata conteneva un negozio transattivo, come risultava dalla stessa intestazione ("convenzione transattiva") e dalla volontà delle parti diretta a regolare i rapporti di natura patrimoniale oggetto di dispute giudiziarie. Non poteva, invece, essere condivisa la qualificazione in termini di rendita vitalizia perché mancava l'alienazione di un bene o la cessione di un capitale da parte della T., né l'erogazione poteva essere considerata di natura alimentare, perché le stesse parti avevano qualificato l'assegno come "di mantenimento". La Corte territoriale ha, infine, affermato che l'assunzione dell'obbligo "vita natural durante" non era affetta da alcuna nullità (peraltro non dedotta), perché non mutava la natura dell'assegno, vincolato alla disciplina voluta e dettata dall'autonomia negoziale delle parti. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna ricorre per cassazione il B. sulla base di un unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art.5 della legge n. 898 del 1970 e degli articoli da 8 a 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato la scrittura privata del 22 giugno 1993. Inoltre, anche se tale scrittura avesse contenuto una transazione, il negozio sarebbe nullo, nella parte in cui estende i suoi effetti anche ai rapporti giuridici dipendenti dal divorzio, perché a) violerebbe l'art.9 della legge n. 898 del 1970, che ammette la revisione in ogni tempo delle disposizioni concernenti la misura e le modalità di versamento dell'assegno di divorzio; b) gli effetti patrimoniali del divorzio sarebbero indisponibili in via preventiva, specialmente alla luce della natura meramente assistenziale che avrebbe assunto l'assegno divorzile, a seguito della legge n. 74 del 1987; c) il negozio avrebbe causa illecita perché diretto a limitare la libertà di agire e difendersi in sede di divorzio, costituendo una sorta di "prezzo del consenso al divorzio".

Il ricorso è infondato.

L'orientamento secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano in sede di separazione il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, è pienamente condiviso e deve essere mantenuto fermo. Tuttavia, tale orientamento, nella specie, non può trovare applicazione per due concorrenti ordini di motivi. Innanzi tutto il principio sopra richiamato è stato affermato in fattispecie nelle quali gli accordi preventivi erano invocati per paralizzare o ridimensionare la domanda diretta a ottenere l'assegno divorzile, mentre la fattispecie presenta posizioni rovesciate, in quanto è il coniuge che avrebbe potuto essere onerato che invoca il principio per ottenere l'accertamento negativo dell'altrui (del tutto eventuale e, comunque, non azionato) diritto. Peraltro, l'accertamento negativo richiesto dal B., a parte ogni profilo di ammissibilità che nella specie non viene in considerazione, non ha ad oggetto l'astratta esistenza del fatto costitutivo del diritto all'assegno divorzile, ma la validità ed efficacia di un concreto accordo. Ora, la sentenza impugnata ha accertato, in modo logico e corretto (e comunque non puntualmente censurato) che l'accordo di cui si tratta aveva la funzione di porre fine ad alcune controversie di natura patrimoniale insorte tra i coniugi, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all'eventuale pronuncia di divorzio. Né un rapporto tra il negozio transattivo e l'eventuale e futuro divorzio può derivare per il fatto che una parte di tale accordo sia stata trasfusa nella separazione consensuale, non essendovi alcun nesso di strumentalità o di conseguenzialità necessaria tra detta separazione e il futuro ed eventuale divorzio. Non v'è dubbio, tuttavia, che, contenendo l'assunzione da parte del B. di un obbligo di pagamento di una somma mensile "vita natural durante", il rapporto nascente dalla transazione era, di per sé, idoneo ad avere un qualche rilievo sui rapporti economici conseguenti alla pronuncia di divorzio, ma solo nel senso che, insorta controversia sulla spettanza o meno dell'assegno divorzile, il giudice del divorzio non potrebbe non tenere conto del credito già spettante alla T. e del corrispondente debito del B., al pari di tutte le altre voci, attive e passive, della situazione reddituale delle parti. Per tale ragione, quindi, la rilevata "interferenza" non è sufficiente a far ritenere che la regolamentazione negoziale si ponga in contrasto con la disciplina inderogabile dei rapporti economici tra gli ex coniugi e neppure che in qualche modo, diretto o indiretto, sia idonea a limitare la libertà di agire e difendersi nel giudizio di divorzio.

Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.

Nulla sulle spese non avendo l'intimata svolto attività difensiva.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso.