INGEGNERI
ED ARCHITETTI - DEROGABILITA' DEI MINIMI TARIFFARI
( Cassazione -
Sezione Seconda Civile - Sent. n. 863/2000 - Presidente V. Volpe -
Relatore E. Spagna Musso )
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
A seguito del
ricorso monitorio dell'ingegnere G. A., con decreto del 31 ottobre 1991 il
presidente del tribunale di Patti ingiunse al Comune di Capo d'Orlando di
pagare la somma di £.29.360.703, oltre gli interessi e le spese del
procedimento, a titolo di compenso della prestazione professionale consistente
nella elaborazione del progetto di una strada. Al decreto si oppose il Comune
eccependo il "difetto di giurisdizione" (rectius: di competenza) del
giudice adito per la espressa previsione, con la clausola compromissoria, di
devolvere ad un collegio arbitrale ogni controversia concernente i rapporto
negoziale ed, in subordine e nel merito, l'infondatezza della pretesa per
essere il credito condizionato al finanziamento dell'opera, in concreto non
ancora avvenuto. Il professionista eccepì l'infondatezza dell'opposizione che,
con sentenza del 91 dicembre 1994, venne accolta dal tribunale di Patti
limitatamente al merito della controversia. Adita con i gravami, principale,
dell'A. e, incidentale, del Comune (che si era doluto del rigetto dell'eccezione
del "difetto di giurisdizione") con sentenza del 15 febbraio 1997 la
corte d'appello di Messina ha accolto l'appello principale e rigettato quello
incidentale condannando l'amministrazione comunale al pagamento delle spese dei
due gradi di giudizio. La corte di merito (ritenuta inefficace la clausola
compromissoria perché non specificamente approvata per iscritto in difformità
della previsione dell'art. l341 c.c.) ha rilevato la nullità ai sensi
dell'art.1418 c.c.. della clausola con la quale il pagamento del compenso era
stato condizionato all'erogazione del finanziamento dell'opera, perché in
contrasto con la legge n. 340 del 1976 che, imponendo l'obbligo dei minimi tariffari,
aveva derogato all'autonomia privata concernente il compenso del
professionista, con salvezza dell'ipotesi, in concreto estranea, della gratuità
della prestazione perché sorretta da motivi di benevolenza, di convenienza o di
solidarietà sociale. Per la cassazione di detta pronunzia, esponendo un motivo
di doglianza, ha proposto ricorso il Comune, non resistito con controricorso
dell'A., il cui difensore, avv. G. G., costituitosi all'odierna pubblica
discussione, munito di procura speciale "ad litem" conferitagli con
atto pubblico del 14 aprile 1999, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con il motivo di
doglianza, in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., l'amministrazione
comunale denunzia la violazione dell'art.1418 c.c. in relazione all'art.5 della
legge 5 maggio 1976 n. 340 secondo l'interpretazione autentica fornita
dall'art. 6 della legge 1 1uglio 1977 n. 404. Contrariamente a quanto ritenuto
dalla corte territoriale - sostiene la ricorrente - la norma indicata non aveva
derogato alla facoltà degli architetti e degli ingegneri di rinunziare al
compenso o di sottoporne l'esigibilità ad una condizione sospensiva. L'art.5
della legge n. 340 del 1975 aveva solo stabilito 1'inderogabilità dei minimi
tariffari ed era stato "autenticamente" interpretato dall'art. 7
della legge n. 404 del 1977 nel senso di limitarne l'applicazione nei soli
rapporti tra privati.
Il motivo di
censura trova consenso.
Non può ritenersi,
infatti, nullo, ai sensi del primo comma dell'art. l418 c.c., nella carenza di un'esplicita
previsione in tal senso, il patto comunque elusivo
dell'"obbligatorietà" dei "minimi inderogabili" delle
tariffe professionali ( in proposito vedasi la giurisprudenza di questa corte
consolidatasi, dopo la pronunzia della ss.uu. n. 1053/80, con quelle nn.
2877/82, 6034/82, 224186, 260/83, 5675/88, 11605/92, 9155/95, 11037/95,
11625/92). Questi sono dettati nell'interesse, al decoro ed alla dignità, delle
singole categorie professionali che può essere adeguatamente tutelato in sede
disciplinare (sul punto vedasi la pronunzia di questa corte n. 669/71) e non in
quello generale, dell'intera collettività: il solo idoneo ad attribuire
carattere di imperatività al precetto, con la conseguente sanzione della
nullità delle convenzioni comunque ad esso contrarie ( art. 1418, I comma,
c.p.c.). In particolare, l'articolo unico della legge 5 maggio 1976 n. 340 -
che stabilisce l'inderogabilità dell'obbligo di (alcuni) "minimi"
della tariffa degli architetti e degli ingegneri - non contiene un'espressa
previsione di nullità delle convenzioni in deroga (previsione invece
rinvenibile nell'art. 24, ultimo comma, della legge 13 giugno 1942 n .794 -
"ogni convenzione contraria è nulla" - concernente l'inderogabilità
dei minimi tariffari per le prestazioni giudiziali in materia civile degli
avvocati e dei procuratori): così che deve ritenersi quell'inderogabilità
fissata nell'interesse della categoria professionale, alla quale appartiene
l'odierno resistente. Va osservato, inoltre, che il primo comma dell'art. 6
della legge I luglio 1977 n. 404, operando un'interpretazione autentica
dell'articolo unico della legge n. 340 del 1976, stabilisce che detta norma
"deve intendersi applicabile esclusivamente tra soggetti privati"(
questi considerandosi quelli operanti anche "iure privatorum") ma non
conferisce all'"inderogabilità" il carattere del precetto dettato
nell'interesse della collettività la cui inosservanza determina, ai sensi del
primo comma dell'art. 1418 c.c., la nullità delle convenzioni derogatorie. Ne
discende il carattere prioritario - nella gerarchia delle fonti di
determinazione del compenso delle prestazioni professionali - del
"patto" (art. 2233 c.c.) che, anche in deroga ai minimi tariffari,
sia stato stipulato tra un ingegnere ed un ente pubblico territoriale il quale,
quando (come nella specie) si sia avvalso del professionista
"esterno" per la redazione del progetto di un'opera pubblica, agisce
nella veste di soggetto privato. L'atto di affidamento del relativo incarico,
come altri che pur successivamente vengano ad interferire nel rapporto, sono,
come quello di accettazione, espressione di autonomia negoziale privatistica. In
queste considerazioni sono inammissibili le questioni di legittimità, per
contrasto con gli art. 3, 4 e 35 della Costituzione "nell'ipotesi in cui
1' interpretazione della normativa vigente in tema di onorari professionali
dovesse ritenersi valida", poste dal resistente poiché non sono indicate
le specifiche disposizioni di legge viziate da illegittimità costituzionale
(art. 23 I comma lett. a) della legge 11 marzo 1953 n. 87) e l'accertata fonte
negoziale, e non legale, del compenso professionale è insuscettibile di
contrasto con gli indicati parametri costituzionali. Va osservato, inoltre, che
il primo comma dell'art. 6 della legge I luglio 1977 n. 404, operando
un'interpretazione autentica dell'articolo unico della legge n. 340 del 1976,
stabilisce che detta norma "deve intendersi applicabile esclusivamente tra
soggetti privati" ( questi considerandosi quelli operanti anche "iure
privatorum") ma non conferisce all"'inderogabilità" il carattere
del precetto dettato nell'interesse della collettività la cui inosservanza
determina, ai sensi del primo comma dell'art. 1418 c.c., la nullità delle
convenzioni derogatorie. Ne discende il carattere prioritario - nella gerarchia
delle fonti di determinazione del compenso delle prestazioni professionali -
del "patto" (art. 2233 c.c.) che, anche in deroga ai minimi tariffari,
sia stato stipulato tra un ingegnere ed un ente pubblico territoriale il quale,
quando (come nella specie) si sia avvalso del professionista
"esterno" per la redazione del progetto di un'opera pubblica, agisce
nella veste di soggetto privato. L'atto di affidamento del relativo incarico,
come altri che pur successivamente vengano ad interferire nel rapporto, sono,
come quello di accettazione, espressione di autonomia negoziale privatistica. In
queste considerazioni sono inammissibili le questioni di legittimità, per
contrasto con gli art. 3, 4 e 35 della Costituzione "nell'ipotesi in cui
1' interpretazione della normativa vigente in tema di onorari professionali
dovesse ritenersi valida", poste dal resistente poiché non sono indicate
le specifiche disposizioni di legge viziate da illegittimità costituzionale
(art. 23 I comma lett. a) della legge 11 marzo 1953 n. 87) e l'accertata fonte
negoziale, e non legale, del compenso professionale è insuscettibile di
contrasto con gli indicati parametri costituzionali. Concludendo la disamina,
l'accoglimento del ricorso determina la cassazione della sentenza impugnata con
rinvio per un nuovo esame ad altro giudice che si indica nella corte d'appello
di Reggio Calabria.
Il giudice di
rinvio, adeguandosi agli esposti principii di diritto, si pronunzierà
sull'appello dell'A. ed, all'esito, provvederà anche al regolamento delle spese
del giudizio di legittimità, facendone questa corte espressa rimessione (art.
385, ult. cpv., c.p.c.).
PER
QUESTI MOTIVI
la Corte accoglie
il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per il regolamento delle
spese di questo giudizio, alla corte d'appello di Reggio Calabria.