NULLITA' DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO
- VIZIO DEL CONSENSO
( Cassazione - Sezione Prima Civile -
Sent. n. 6308/2000 - Presidente A. Sensale - Relatore M.G. Luccioli )
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
G. M. chiedeva alla Corte di Appello di Roma
di dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale
del Lazio in data 28 gennaio 1995 che aveva pronunciato la nullità del
matrimonio dal medesimo contratto con M. M.
La M., costituitasi, si opponeva alla
domanda, deducendo tra 1'altro la contrarietà all'ordine pubblico della
sentenza suindicata, e chiedeva che le fosse concessa una provvisionale
sull'indennità a lei spettante ai sensi dell'art. 129 bis c.c.
Con sentenza del 20 marzo - 4 aprile 1998 la
Corte di Appello dichiarava 1' efficacia in Italia della pronuncia in oggetto e
rigettava la domanda della M.
Osservava in motivazione la Corte di merito,
per quanto in questa sede rileva, che ricorrevano tutti i requisiti di cui
all'art. 8 n. 2 dell'Accordo con la Santa Sede e relativo protocollo addizionale,
sottoscritto il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985 n. 121:
in particolare la sentenza non appariva in contrasto con 1' ordine pubblico
italiano, atteso che 1' esclusione di uno dei bona sacramenti da parte del
marito che aveva indotto il Tribunale Ecclesiastico a ravvisare il vizio del
consenso, era stata nota alla M. sin dall'epoca del fidanzamento. Aggiungeva al
riguardo che i mezzi di prova richiesti da quest'ultima sul punto erano
inammissibili, occorrendo valutare la ricorrenza di un eventuale contrasto con
1' ordine pubblico unicamente in base ad aspetti intrinseci del provvedimento
di cui era stato richiesto, il riconoscimento.
Affermava infine che ostava all'accoglimento
della richiesta di provvisionale la mancanza di elementi dai quali poter
desumere la buona fede della richiedente.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la M. deducendo due motivi. I1 M. non ha proposto controricorso, ma
ha depositato in cancelleria procura speciale a resistere in giudizio.
Alla precedente udienza del 19 ottobre 1999
questa Corte, rilevato che il ricorso non era stata notificato al p.m. presso
il giudice a quo e a quello presso il giudice ad quem, ha disposto l'integrazione
del contraddittorio, rinviando a nuovo ruolo. Adempiuto all'incombente nel
termine concesso, è stata fissata 1' udienza odierna per la discussione del
ricorso.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando
violazione dell'art. 8 n. 2 dell'Accordo del 18 febbraio 1984, modificativo del
Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, con riferimento all'art. 360 n. 3
e 5 c.p.c., si deduce che la Corte di Appello ha adottato una motivazione
illegittima e contraddittoria nell'affermare che la prova testimoniale
richiesta dalla M. era inammissibile in quanto l'eventuale contrasto con 1'
ordine pubblico andava verificato unicamente in base ad aspetti intrinseci del
provvedimento delibando: si osserva che la conoscenza del vizio della volontà
da parte dell'altro coniuge è del tutto irrilevante per l'ordinamento canonico
e che pertanto il Tribunale Ecclesiastico non è tenuto a svolgere alcun
accertamento al riguardo, mentre il giudice italiano deve accertare la
ricorrenza di detto elemento in via del tutto autonoma.
Il motivo è infondato.
E' noto invero che la declaratoria di
esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia pronunciato la
nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto
dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra
volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata
all'altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta,
ovvero che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso
che ove le suindicate situazioni non ricorrano la delibazione trova ostacolo
nella contrarietà con l'ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso
il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento
incolpevole (v. per tutte, tra le tante, Cass. 1993 n.11951).
E' altrettanto noto che se pure è vero che il
giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l'oggettiva
conoscibilità di tale esclusione da parte dell'altro coniuge con piena
autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo
canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronunzia
ecclesiastica di nullità (v. per tutte, da ultimo, Cass. 1999 n. 4311), è
tuttavia altrettanto vero che la relativa indagine deve essere condotta con
esclusivo riferimento alla pronuncia delibanda (intesa l'espressione come
comprensiva di entrambe le sentenze rese in sede ecclesiastica) ed agli atti
del processo canonico eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e
valutati (ed in questi limiti va corretta la motivazione della sentenza impugnata,
che ha ritenuto che detto accertamento debba essere svolto " unicamente in
base ad aspetti intrinseci del provvedimento di cui è chiesto il
riconoscimento"), non essendovi luogo in fase delibatoria ad alcuna
integrazione di attività istruttoria (v. Cass. 1999 n. 2325; 1998 n. 2530; 1996
n. 2138; 1991 n. 188).
E' peraltro appena il caso di rilevare che 1'
accertamento svolto nella sentenza impugnata circa la conoscenza della M.
dell'esclusione da parte del futuro coniuge di uno dei bona matrimonii non è
sindacabile in questa sede di legittimità (v. Cass. 1998 n 6551; 1997 n. 8386).
Con il secondo motivo, denunciando violazione
degli artt. 129 e 129 bis c.c., si deduce che il giudizio di delibazione è
stato introdotto successivamente all'instaurazione della causa di divorzio e
che il giudice statuale preventivamente adito è 1' unico competente a regolare
le condizioni patrimoniali delle parti. Si deduce altresì che resta comunque
integro il diritto del coniuge in buona fede di ricevere dall'altro coniuge un
contributo economico, che la buona fede va presunta fino a prova contraria, che
anche ove fosse possibile ritenere che la M. aveva avuto conoscenza della
simulazione andrebbe comunque ravvisata la buona fede della predetta.
Anche tale motivo è infondato.
Quanto al primo profilo di censura, relativo
alla pendenza del giudizio di divorzio tra le parti, ne va rilevata
1'inammissibilità, in quanto prospettato per la prima volta in questa sede.
Per ciò che concerne le altre doglianze, è da
ricordare che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte ai
fini dell'obbligazione indennitaria del coniuge cui sia imputabile la nullità
del matrimonio, ai sensi dell'art. 129 bis c.c., il requisito della buona fede
dell'altro coniuge, da presumersi sino a prova contraria, si identifica nella
incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale è stata
pronunciata la nullità, correlando la norma tale requisito soggettivo alla
nullità medesima (mentre è del tutto irrilevante la semplice ignoranza dell'attitudine
di detta circostanza a travolgere 1'atto ed il vincolo matrimoniale), e che
pertanto la dimostrazione della conoscenza di detta riserva da parte del1'
altro coniuge implica di per sé il superamento dell'indicata presunzione (così
Cass. 1996 n. 1780; 1995 n. 2734; 1990 n. 8703; 1986 n.4649).
Correttamente pertanto la sentenza impugnata,
una volta accertato che il M. aveva esternato alla M. durante il fidanzamento
il proprio pessimismo sull'esito del matrimonio ed il proposito di avvalersi
eventualmente del rimedio del divorzio, ha escluso la sussistenza del requisito
in discorso.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Sussistono giusti motivi per disporre la
compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.
PER
QUESTO MOTIVO
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Compensa le spese.